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Baci

«Ma poi che cosa è un bacio? Un giuramento fatto un poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa messo tra le parole t’amo.» Eccola qui, dal Cyrano de Bergerac, una delle tante frasi da cartiglio dei Baci Perugina. Una di quelle che si stampano sulle magliette o nei biglietti di auguri per San Valentino. Che poi ogni volta che la leggo mi vengono in mente Aldo Giovanni e Giacomo nel loro mitico “Chiedimi se sono felice” e mi faccio una risata. Eppure questa frase mi è venuta in mente in questi giorni, passeggiando per una città straniera, dove è facile incontrare turisti, coppie che mano nella mano si scambiano baci un po’ ovunque. E la mente è andata ai primi baci. Ve li ricordate? Quelli un po’ impacciati, quelli che non sai bene dove mettere la lingua le mani i capelli, insomma quelli che sono una scoperta, una scommessa, uno sfizio. Eppure non so voi ma io me li ricordo tutti i baci. Lo capisci al volo se funziona o no. Se ti piace o no. Se vorresti che non finisse mai o se lo fai perché lui è talmente figo che sarebbe un vero peccato lasciar perdere. Magari poi migliora. Quelli sulle panchine al mare fino a toglier il fiato, sotto un cielo stellato e il profumo della salsedine, il rumore della risacca e la pelle abbronzata che sa di sale. Quelli imbacuccati nella nostra nebbia, in mezzo ai campi, col fiato che esce dalle narici e il caldo che contrasta con il gelo fuori. Quelli sulla neve, rubati sotto il casco, e i nasi gelidi che si sfiorano. Quelli che non ti aspetti, che magari non hai voglia, anzi come idea sei pure arrabbiata, e che invece ti lasciano senza fiato e il sapore dura ore. Quelli bellissimi che non presuppongono altro, perche sono essi stessi amore, puro, forte, energico, un mondo in quel contatto che ripercorre le nostre origini, quando la mamma passava al bimbi il cibo con la bocca, in questo che è nutrimento non solo del corpo ma dell’anima. Un bacio sarà un apostrofo per Cyrano, per lacolli è tutta la punteggiatura di ogni storia d’amore.

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Rosa 

Violenza sulle donne. Se ne parlava due sere fa in una Gasthöf davanti a costolette di maiale e birra come se non ci fosse un domani. Perché quando sei rilassato affronti meglio anche discorsi davvero spinosi. E retorici, molto retorici. Noi donne sismo state nel passato una classe di serie B. I greci non permettevano che le donne uscissero di casa sole, sempre accompagnate da una ancella e per brevi tratti. Quelle di alto rango si trovavano nei Ginecei, e il teatro greco metteva in scena tutta la paura che l’uomo aveva della donna, così magicamente capace di procreare. I romani lo stesso, le donne emancipate erano prostitute o attrici, equiparate alle prime, insomma quello che non vorremmo sentirci dire di essere. Gesù Cristo incontra nel Vangelo solo donne che sono già state sposate, prostitute, donne fuori dai canoni, perché alle altre non era permesso aggirarsi da sole. È così via. Additate come streghe e bruciate sul rogo, colpevoli solo di voler affermare il proprio io, costrette ai lavori più umili, sottopagate, violentate nel silenzio delle mura domestiche. Pensate un po’ alle donne che la storia ricorda, tutte fuori dai canoni: Teodora, ex attrice di dubbia fama, Giovanna D’Arco, che oggi sarebbe sempre in analisi psichiatrica, Ermengarda, poverina cornuta e abbandonata da quel figo di Carlo Magno, Maria Antonietta, che per colpa delle brioche ha perso la testa, fosse vissuta oggi avrebbe seguito la macrobiotica e buon per lei, Charlotte Corday che uccide Marat in una vasca da bagno e viene ritratta sempre molto stettata, prima che anche a lei taglino la testa. Ah voi mi direte, ma Anita Garibaldi? Ecco quelle sono le donne uomo, quelle con le palle, come Teresa d’Austria, la Regina Vittoria, basta guardare i ritratti per capire che di femminile avevano solo il nome. E poi vabè c’è lei, la principessa Sissi, che non aveva le palle delle suddette ma era imperatrice e si faceva quel gran gnoccolone del conte di Andrassy. Quelle sono quelle che hanno ispirato le femministe e tutti i movimenti che ci hanno portato ad oggi. In cui la donna sulla carta è come gli uomini. Anzi meglio. Non ci sono le quote azzurre in parlamento (al massimo le pastigliette blu data l’età media), ma quelle rosa. Una tutela. Esterna. Politica. Di comodo. Perché agli uomini non ie piace sta storia. Che la donna col grembiule che ramazza e aspetta paziente ie piaceva di più. E allora sbroccano. Quelli violenti con le mani, quelli codardi con il terrore psicologico. E qui le quote rosa non ci sono. Qui nessuno ascolta. Qui nessuno educa a sufficienza i nostri bimbi al rispetto per l’altro. Noi lo dobbiamo fare in casa. Ma lo stato lo deve imporre. Perché non é più scontato. E su questo non si può transigere. Sempre. Comunque. Rosa azzurro o del colore che vi piace.

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Dachau

Arrivo a Dachau la mattina presto, su un treno silenzioso, composto, un treno per Dachau. Inutile negare che la suggestione è forte. Non si può visitare un luogo così simbolico senza far riemergere tutto quanto studiato a scuola, letto, visto sullo schermo. Ma ci provo. All’ingresso solo io, apro il cancello su cui svetta Arbeit macht frei in una giornata tersa e fredda, il fumo che esce dalle labbra, il corpo stretto nel piumino, le mani intirizzite mentre premo i tasti dell’audioguida. Freddo fuori e freddo dentro, su questo enorme piazzale che la mente popola di migliaia di persone, che qui hanno perso tutto, in primis la dignità di uomini. E poi le baracche, le torrette, il filo spinato. E i forni. Ed é qui che anche la dura colli cede. Non per il pensiero dell’eccidio. Non per le mille suggestioni. Non perché la cattiveria umana, nostra, cristiana, occidentale, immotivata, non di una cultura diversa come nei proclami delle ultime settimane, non perché questa cattiveria mi fa in fondo molta paura. No. Perché quando davanti ai forni aperti, a fianco alle camere a gas, nel silenzio totale, vedo arrivare una coppia tedesca, lui togliersi il maglione e mettersi in posa per la foto con la maglietta del Bayern che mette in evidenza una pancia considerevole, braccia aperte e pollice in alto, sorridente, lì davanti ai forni crematori, ecco in quel momento capisco che non impareremo mai. Che questa é la sintesi della stupidità del mondo odierno. Che adesso canta la marsigliese e sventola bandiere francesi, che posta frasi di sdegno, e che tra due giorni non si ricorderà più di nulla. Questo é il nostro filo spinato, l’incapacità di fare della storia un possesso per sempre, come diceva Tucidide, un memento per non errare di nuovo. E, scusate, tutto questo è davvero molto triste….

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Siii viaggiare…

Viaggiare è fantastico. Vedere, conoscere, sperimentare, confrontarsi con culture diverse, mettersi un po’ alla prova in ambiti diversi dal proprio. E poi in un viaggio di piacere ti senti coccolato. Speciale e chic. E non devi viaggiare cinque stelle. Basta fare attenzione ai particolari. Il sorriso delle hostess e degli stuart e la loro gentilezza anche quando devono sistemarti nella stiva sopra ai sedili un trolley dal peso specifico di un auto. E anche quando gli chiedi con dolcezza di tirartelo un attimo giù di nuovo perché hai dimenticato di tirare fuori il libro da leggere in volo. Il tovagliolino e il bicchiere di caffè, il caffè fa schifo e lo paghi due euro e cinquanta ma berlo lasciando la scia nel cielo che si rischiara all’alba allarga il sorriso. I cioccolatini sul tavolino della camera d’albergo. E le ciabattine lo shampoo la cremina la penna il block notes. Oggi poi la sciccheria è stato l’interruttore delle tapparelle di fianco al letto: allunghi la mano pigra e su giù in un attimo. Inutile dire che l’ho quasi impallato su giù su giù, il giochino del giorno. E poi la doccia calda calda, ore sotto senza preoccuparsi di chi verrà dopo e del boiler che si svuota. Dovresti ricordarti di non sprecare acqua ma in fondo sei in vacanza no? E gli asciugamani grandi spessi e bianchi. E il tempo, rallentato e dilatato, perché devi pensare solo a te stessa e questo è il lusso dei lussi. Godiamocelo allora…

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Trolley

Partenza per Monaco. Di Baviera. Che il Principato c’est tres chic ma Munich ist kühlen, ovvero very cool. E allora all’alba di un lunedì di novembre si parte. Trolley coordinato con lo smalto, perché é dai particolari che si vede una donna, piccoli dettagli che fanno la differenza. Ecco una donna. Non sai come ma hai compattato tutto. Razzia di ogni campioncino di creme e cremine, il minimo indispensabile per tre giorni che è quasi una settimana, ma ci é stato tutto. Controllo bagagli. Lui anfibi cintura taglio militare passa senza una piega. Potrebbe avere un macete addosso che la signorina della security lo farebbe passare lo stesso magari offrendogli anche un caffè. Poi si volta e ti guarda. Ti fa aprire il tuo lucidissimo trolley e ci manca che si prenda un po’ di rossetto, così per ravvivarsi prima di andare a prendere il caffè con tuo marito. Poi ti fa togliere quelli che lei chiama scarponi. Gioia sono Timberland fighissime per favore. Usiamo l’italiano con proprietà di termini. Li togli e per ripicca li posi così sul rullo, disdegnando i sacchetti di plastica che ti porge per infilarci i piedi, sono i miei piedi mica la verdura del supermercato. E così finisce che una timberland si incastra nel rullo e ie blocca er traffico. Tesoro mi sa che invece di andare a bere il caffè ti tocca sistemare il rullo. Eh già. Tolgo cintura maglione orologio e varie, la prossima volta mi metto in intimo direttamente così aiuto il risveglio di quelli in coda. Non fraintendete, sono favorevolissima ai controlli, solo che si vede che non ho un viso affidabile. Accanimento regolare ad ogni viaggio, dal body scanner alla spogliazione, vuoi vedere che sta biondina nasconde qualcosa? Comunque, passata anche stavolta. In coda sulla scala in discesa per raggiungere l’aereo, mi distraggo un attimo e il mio trolley prende in pieno la caviglia del signore davanti. Gli faccio un male pazzesco come quando ti arriva il carrello del supermercato nelle caviglie lanciato da qualche simpatico bambino, ma lui non reagisce. Sarà tedesco. Bionico. Oppure solo molto signore. Intanto tuo marito ti guarda e con il suo rassegnato aplomb ti dice “Colli hai già dato e non siamo ancora partiti”….