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Pandora

Ho cercato di frenare le emozioni. Di congelarle, lì, in un angolo, dietro una maschera ben costruita. Ho cercato di adattarmi alle mancanze, alle dimenticanze, ai silenzi nei momenti difficili. Ho cercato di essere sempre educata, grazie, prego, per favore, ma figurati nessun problema, quando vuoi sono qui. Ho cercato di essere l’ideale per gli altri, di non far mai mancare nulla, di dare certezze, sicurezze, strade spianate. Ho cercato. Ma in questo modo ho rischiato di perdere me stessa, i miei sogni, le mie aspirazioni, la mia testarda e incosciente follia. Ho rischiato di abbandonare ciò che amo, di chiuderlo nel cassetto per un domani, quando i figli saranno grandi, quando ci sarà meno bisogno di me, quando avrò tempo libero. Come se il tempo per noi stessi non fosse la cosa più importante, ma una sorta di hobby da coltivare se mai si andrà in pensione, se mai si arriverà all’età della pensione. Ecco ho corso un rischio davvero grosso. Ma mi sono fermata in tempo. Quel cassetto l’ho spalancato e come il vaso di Pandora ho lasciato che uscissero tutti i miei desideri e le mie ambizioni, la mia voglia di dire fare baciare lettera e testamento, il mio io, nudo e ribelle, e mi sono sentita viva. Via la maschera di ciò che non saremo mai, su lo sguardo pulito di chi, specchiandosi, vede solo se stesso. E si piace. 

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Con me 

Ti penso e ti scrivo “sei sempre con me anche quando non ci sei”. Ma è una bugia. Ho bisogno di te ogni ora, ogni giorno, in carne e ossa, qui, accanto a me. Ho bisogno di te al mattino quando apro gli occhi e ti sento dormire accanto a me e con la mente ripercorro le linee del tuo volto, che tante volte ho percorso con il palmo delle dita, fino ad impararne ogni increspatura. O quando sei tu che guardi me mentre il sole sorge, e io fingo di dormire, perché adoro i tuoi occhi sul mio corpo, é il tuo sguardo che rende luminosa la mia pelle, il tuo tocco che le dà vita, il tuo bacio che mi fa alzare con il sorriso. Ho bisogno di te mentre organizzo la mia giornata, di sentire la tua voce che mi parla, che mi coccola con la sua musicalità, di salutarti quando esci al mattino e mi inondi con il profumo del dopobarba. Ho bisogno di te, di sentirti, toccarti, accarezzarti, di sincerarmi che tu sia vero, reale, bello, anzi bellissimo, a fianco a me. Il pensiero di te mi accompagna ogni attimo ma non basta. Perché il pensiero può essere un inganno ma il tuo sguardo no. Il tuo sguardo è quanto di più sincero si possa immaginare, e io ci leggo l’amore. E questa lettura è davvero un’abitudine che non voglio smettere mai. 

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Luoghi

Ci sono luoghi bellissimi dove fare l’amore, luoghi lontani mille miglia dalle lenzuola, i cuscini, le coperte. Sono luoghi dove puoi farlo solo se ami davvero, perché oltre a non esserci un letto, un divano, non c’è neanche spesso la riservatezza della solitudine. E spesso i corpi si sfiorano solo, vestitissimi, in mezzo alla gente. Si fa l’amore seduti ad un tavolino di un bar, davanti ad una tazzina di caffè, gli occhi negli occhi e un milione di cose da dirsi, mentre le dita si accarezzano e potrebbe passarti a fianco Brad Pitt che neanche lo vedresti. Si fa l’amore passeggiando per strada, curiosando le vetrine, mano nella mano o abbracciati stretti, spesso in silenzio perché sono i pensieri a parlarsi e la voce serve davvero a poco. Si fa l’amore seduti in macchina, i paesi che scorrono dai finestrini, fuori la vita che fluisce, dentro un universo di due cuori, la musica alla radio, una mano sulla spalla, uno sguardo ogni tanto, e alla fine è pure un peccato arrivare. Si fa l’amore messaggiando al telefono, con un codice incomprensibile a chi non vive in quelle anime, ingannando l’attesa di un incontro, sorridendo davanti allo schermo, e chissà cosa pensa la gente. Si fa l’amore semplicemente condividendo un momento, una mostra, un film, una cena o un panino all’autogrill. Non serve un corpo nudo per fare l’amore, serve un cervello che voglia mettersi a nudo, togliendo tutte le maschere che rovinano la comunicazione. Fare l’amore con un cervello è speciale e allora sì che il corpo starà bene. Ma bene davvero. Ci sono luoghi bellissimi dove fare l’amore. Fateci caso. E non sprecateli. Viveteli e metteteli nel cassetto dei ricordi. E un giorno, quando magari l’amore non ci sarà più, avrete un romanzo bellissimo da rivivere nelle serate d’inverno.

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Impaziente

Sono una che non sa aspettare. Una impaziente. Una di quelle che in coda in auto è già stufa quando vede la segnalazione della coda. Una di quelle che al supermercato prende il biglietto del banco carni, poi va a fare la spesa e quando torna il più delle volte il numero é già passato. Ma stare lì ad aspettare no. Una di quelle che nove mesi di gravidanza sono un’eternità, già sarebbero troppe nove settimane. E infatti i miei figli, che erano già svegli, sono nati un pochino prima. Una di quelle che non pensa mai prima di parlare, conto al massimo fino a uno, e così si incasina regolarmente. Una di quelle che quando prende una medicina come idea questa deve fare effetto nel momento stesso in cui la deglutisce, se no vuol dire che non serve a nulla. Sì, sono impaziente ed é uno dei difetti peggiori che mi porto dietro fin da piccola. Perché se la pazienza é la virtù dei forti, l’impazienza è il vizio dei ciula. Per fortuna esiste il telefono, e la sua funzione appunti. Così quando, come adesso, sono qui ad aspettare in posta che arrivi il mio turno, almeno posso scrivere. Mi stufo ed irrito ugualmente, e non sapete quanto, ma le lettere hanno sempre un forte potere endorfinico su di me. E se non raggiungerò un’atarassia stoica perlomeno eviterò di seccarmi troppo e di attaccare bottone con tutti gli esseri viventi e semiviventi intorno a me, che sono anche logorroica. Ma questa è un’altra storia. 

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Dipendenze

Non ho mai fatto uso di droghe, di nessun tipo, neanche un semplice spinello. So che pare strano ma se a volte sembro fuori di testa è tutto nature, senza bisogno di aiutini. Non amo i superalcolici, non mi piacciono, mi bruciano in gola e se bevo qualche cocktail non si deve assolutamente sentire l’alcool. Per di più non reggo niente, quindi meglio evitare, onde ritrovarmi a ballare nuda su qualche tavolo. Bevo solo poco vino rosso, con della buona carne, ma se non c’è mi diverto lo stesso e la mattina dopo sono più in forma. Il vino bianco poi mi fa effetto confetto Falqui, quindi lasciamo stare. Fumo raramente qualche sigaretta, ma senza aspirarla perché mi fa girare la testa e fa lo stesso effetto del vino bianco, la fumo in quelle sere in cui mi sento Audrey Hepburn e faccio un po’ la figa. Non gioco d’azzardo, non so giocare a poker, al massimo scala quaranta ma mi annoio, le macchinette non mi attirano e neanche i gratta e vinci, che un investimento con una bassissima percentuale di resa non fa parte della mia forma mentis. Insomma sono noiosamente senza dipendenze. Ma non per scelta, perché sono così. Punto. Che per inciso io sono una esagerata e se una delle suddette cose mi piacesse sarei tabagista, alcolizzata, maniaca del gioco. Bè meglio così in fondo. Eppure un paio di dipendenze le ho anche io. Primo. Dall’amore. Ho bisogno di amore, di coccole, di attenzioni, di tenerezza, da dare e da ricevere. Ho detto amore, non sesso, badate bene, che la mia dipendenza è da tutte quelle emozioni che ti regala l’amore, il cuore che batte, le sorprese, le telefonate inattese, biglietti, pensieri. Quella adrenalina che ti fa arrossire, ecco, quella lì é droga pura. E poi c’è l’altra dipendenza. Quella che mi portò dietro da una vita. Che mi mette sempre di buon umore, che rilassa, distende, ricarica quando sono stressata, che mi fa sentire forte e stare bene dentro il guscio che è il mio corpo. La mia palestra, o più in generale l’attività fisica, ogni volta che si può, anche per poco tempo. Ecco questa è energia pura, una magia che si ripete ogni volta: arrivo stanca da una giornata, magari arrabbiata, inizio a correre, ad alzare pesi, ad ascoltare la musica, e tutto si scioglie e torno a casa come nuova. Lo stress se lo sono presi i muscoli e hanno rilasciato endorfine, che mi illuminano sempre il volto. Dipendente da amore e movimento. Con nessuna voglia di guarire, perché la cura significa fermarsi e inaridirsi. E per ora anche no grazie. 

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Così anche no

Francesco Moro, studioso e amante della nostra terra, scrive nella prefazione di un suo testo che il Signore, dopo aver lavorato per sei giorni e faticato per creare tutto il mondo, si riposò. E mentre si rilassava posò gli occhi su una terra di una bellezza unica e speciale, ricca di rogge e campi coltivati, di filari di alberi e di molti animali e decise di renderla ancora più bella e armoniosa. Questa terra era la Lomellina di Moro, la nostra Lomellina. Ecco, in questi due giorni, mentre dal balcone guardavo una nube scura colorare il nostro cielo di una tinta innaturale, triste e minacciosa, mi veniva in mente questo racconto di Moro. Sì perchè in fondo quella che lui descrive è la terra in cui sono nata e di cui sono fatta. Io sono fatta di terra e di acqua, di umidità che sale dalle risaie, del fumo della nebbia, dell’azzurro nelle giornate terse che ci fanno salutare il Rosa; la mia pelle porta su di sè le impronte delle innumerevoli zanzare che l’hanno percorsa (zanzare ormai innocue, magari fastidiose, ma innocue che qui la malaria l’abbiamo sconfitta da tempo…ma ops quella è un’altra storia), le mie orecchie risuonano delle cicale, dei grilli, delle rane, delle mille specie di uccelli che si trovano qui intorno; i miei occhi sono abituati agli aironi, che belli gli aironi che planano sulle risaie in una danza che vorresti non finisse mai. La mia Lomellina non è quella che vedo dal mio balcone. Con quella colonna che si leva proprio da lì, da via Enrico Fermi (che nome…), da quella via dove ho trascorso tanti pomeriggi, in mezzo ai campi, a fare bamboline con i papaveri e ad ascoltare il nonno che mi spiegava cosa cresceva nell’orto. Sì perchè a fianco a quel mucchio di rumenta informe che va a fuoco, c’era la casa dei miei nonni, e c’era l’amatissimo orto del nonno Francesco, che nei campi della nostra Lomellina ha sputato il sangue e che nel suo orto, sì quell’orto lì a fianco a questa vergogna, si è pure spento. Il posto più bello per lui, la sua terra, la sua campagna. Cosa direbbe oggi? Oggi che la Lomellina è un puzzle di industrie che smaltiscono non si sa bene che cosa e di aziende di vario tipo? Non vado oltre. Sono per il progresso. Amo il progresso. So che questo ha un prezzo per l’ambiente e chi mi conosce sa che non sono incline ai falsi moralismi. Ma oggi sono arrabbiata. Sono arrabbiata con chi ha permesso che quella che i Visconti e gli Sforza chiamavano Beldiporto, ovvero bel luogo dove venire a fare le “vacanze”, a cacciare, a respirare aria buona sia diventata quello che vedo dal balcone. Sono arrabbiata con chi non sa valorizzare la cultura del nostro territorio, la sua ricchezza naturale e ambientale, la bellezza dei suoi borghi e invece di investire in quello accetta che si arrivi a tutto questo. Sono arrabbiata con chi, dopo aver accettato certi compromessi in nome del progresso, poi non vigila che le regole di sicurezza vengano rispettate, con chi multa chi sbaglia la raccolta differenziata ma lascia che si accatastino tonnellate di schifo senza smaltirle. Sono arrabbiata con chi costringe me e i miei figli a stare in casa sigillati, o altri a girare con le mascherine, in un clima spettrale che non è la mia Mortara. La mia Mortara è quella del mercato del venerdì, della gente nei caffè, delle scampagnate in bicicletta, della Sagra e dei pettegolezzi ad ogni angolo. Non è quella chiusa in casa e spaventata, su tutti i tg, che vedo ora. Sono arrabbiata con me stessa, con i miei cittadini, perchè tra una settimana avremo dimenticato tutto e respireremo, mangeremo, berremo schifezze per i prossimi dieci anni. E tutto rimarrà uguale. O forse no. Lo spero. Perchè io quella colonna di fumo che rovina il mio orizzonte non la dimenticherò mai.

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Libri 

Scrivere un libro è dare forma ad una storia che già esiste. Voglio dire esiste prima di te e anche senza di te, prima che ti venga l’idea di una storia o che un incontro faccia nascere il personaggio. È come se queste figure celate dietro alle lettere decidessero un giorno che è la tua penna ad essere degna di raccontare la loro storia, semplice o complessa che sia. Tu ci provi a dirgli di no, che hai altro da fare, che la tua vita è già un casino, ma loro ti danzano nella testa con sempre maggiore insistenza e pian piano ti convincono a sederti davanti allo schermo, di sera, di notte, la mattina presto, quando sei libera dal resto e dovresti dormire. Ma se dormi li sogni e allora tanto vale farli vivere sti rompiscatole. Che ci vuole coraggio e soprattutto presunzione per scrivere un romanzo. Voglio dire, pensare che a qualcuno importi quello che hai da dire è per me uno degli esempi più lampanti di egocentrismo, autostima, e anche di un pelo di supponenza. Per cui i miei personaggi ce l’hanno davvero dura, sono tipi ostinati e cocciuti, per anni non hanno avuto soddisfazione, poi sono arrivati i primi post e alla fine, in questa mia strana fase di maggiore sicurezza, mi sono arresa a dargli un volto. Con le lettere, intendo. L’unico modo in cui so forse dipingere, con le parole e le frasi, con gli aggettivi, i verbi, le congiunzioni. E, straordinariamente, scrivere è come andare al cinema. Sei lì, davanti allo schermo del pc, silenzio intorno, e batti velocemente sulla tastiera e tutto prende vita: i personaggi, le azioni, le relazioni, i luoghi. Parti da un’idea e poi tutto sembra venire da sè, e ti coinvolge che non avresti mai detto. Piangi, ridi, ti arrabbi pure. E quando devi smettere per tornare alla vita reale sei un po’ stordita, perché anche quella è ora per te realtà, e ti senti come un extraterrestre che viaggia tra due mondi diversi, lontani, di cui tu, solo tu ed il tuo io, sei il tramite. Sensazione splendida e un po’ straniante. Che ti fa vivere sulle nuvole, che ti rende maleducata perchè non saluti la gente per strada che neanche la vedi che sei altrove, che ti fa bruciare il risotto perché pensi ad altro, che ti stanca terribilmente perché una vita è già dura, figuriamoci due. Ma è sicuramente il modo più soddisfacente per sentirsi esausta la sera, un po’ come fare la vita ogni giorno. Insomma una figata. E tutto il resto è noia.