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La festa dell’oca

La bellezza dell’Italia sta anche nelle feste patronali, nelle sagre, negli appuntamenti che ogni anno ricordano le antiche tradizioni. Ce n’è per tutti i gusti, da quella della cipolla a quella della papera, da quella dell’anguilla a quella delle cozze, fino a quella della passera e della patacca, che sono rispettivamente un vino bianco secco e un tipo di tagliatella (subito a pensar male voi eh?). La mia città festeggia da più di 50 anni l’oca e i suoi prodotti. E lo fa con una sagra che non solo esalta salami, prosciutti, patè, ravioli, tutto rigorosamente DOP, ma con una festa che ha un corteo storico, sbandieratori e pure un gioco. Il gioco dell’oca appunto. Con pedine umane e arcieri che si danno battaglia, e a volte litigano pure pesantemente, che noi italiani siamo sanguigni si sa, per far progredire i propri compagni di squadra. Adoro questa festa. Adoro le contrade, i costumi, la sfilata. Adoro trovare e ritrovare amici che non vedo da tempo e che tornano qui nel dì dla festa. Adoro comperare dagli stand il panino col salame, i ciccioli, il risotto con la pasta di salame e amen il colesterolo che oggi vola sotto i 400. Adoro sentirmi parte di questa terra, da cui per il resto dell’anno tendo a fuggire, perché mi va stretta come un vestito fuori misura e fuori moda. Le radici non sono un orpello. Le radici sono importanti. Sono ciò che definisce chi siamo e da dove veniamo. Da qui non si scappa, anche se la vita porta miglia e miglia lontano. Siamo fatto di terra e acqua noi Lomellini, del riso che mangiamo e coltiviamo, della carne del maiale e dell’oca, della frittata di pomodori e dei tanti prodotti che questa terra nebbiosa e afosa ci regala. E lo saremo sempre. A New York come a Mosca, se fuggiamo o se restiamo, se ci piace o se non sopportiamo l’idea di queste terre. Buona festa dell’oca Mortara. Di ❤️

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Piacere agli altri

Per gran parte della mia vita ho cercato di piacere agli altri. Ho passato ore a studiare atteggiamenti e modi di essere di chi sembrava avere l’attenzione degli amici, di quelle che erano corteggiate, di chi sembrava camminare lasciando una scia di interesse dietro di sè. E non ci riuscivo mai. Non ad essere al centro dell’attenzione, no no. Ma perlomeno ad essere considerata. Sì ok, ero la prima della classe, per cui quando c’erano le verifiche mi amavano tutti alla follia. Ma poi. Poi, mi sentivo sempre un pesce fuor d’acqua. Sempre sbagliata. I capelli che non stavano, il fisico in cui non mi trovavo bene, le parole che non uscivano mai al tempo giusto. Stonata, ecco, mi sentivo stonata. E più cercavo di plasmarmi sugli altri, meno riuscivo nell’intento e, anzi, ero a disagio con loro e con me. Sono cresciuta così. Sognando che gli amici mi chiamassero perché mi volevano con loro e non che fossi sempre io a farlo. Sperando di lasciare qualche cosa del mio passaggio in questo mondo, dove sembravo essere trasparente. A un certo punto mi sono stancata. Non so quando sia avvenuto. Pochi anni fa comunque. Ho deciso che, visto che tanto non ottenevo nulla, tanto valeva smetterla di scimmiottare gli altri. E ho incominciato a comportarmi come mi andava. Al bando il perbenismo e le chiacchiere altrui. Al bando il si deve e il si può. Al bando le mode, i clichè, le regole. Ho guardato lo specchio e mi sono detta che, in fondo, dovevo rendere conto solo a me stessa e agli affetti più cari, che sapevano esattamente come io fossi. E ho iniziato a vivere. Libera. Non ci crederete, ma è successo il miracolo. Le porte si sono aperte. Gli altri hanno iniziato a cercarmi. Ho cominciato a essere me stessa e tutto è stato facile. Se solo lo avessi saputo prima! Quante lacrime in meno! Quanti pomeriggi a scrivere un dolore così tenero e profondo da riempire diari interi! Siate voi stessi e non rinnegatevi mai. Seguite l’istinto e amate senza paura. Vestitevi come vi va e non omologatevi a ciò che dice la massa. Sorridete allo specchio e non traditevi mai. Piacere agli altri è un viaggio che parte dall’amore per la nostra essenza. Non dimenticatelo mai.

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Magrezza e bellezza

Tutti gli anni la stessa ipocrisia. Quella delle case di moda, che promettono che non faranno più sfilare modelle troppo magre. Che prendono posizioni in cui non solo non credono, ma che poi anche smentiscono, scegliendo ragazze che chiaramente sono sottopeso e che propongono canoni di bellezza sbagliati. Scorrendo le fotografie, mi ha colpito la magrezza di Kaia Gerber, bella, bellissima figlia di Cindy Crawford, ma emblema di tutte quelle giovani modelle senza forme, al limite della malattia, che dominano non solo le passerelle, ma anche i social come Instagram. E a cui le giovani (e anche le meno giovani) guardano come un esempio da seguire, con danni fisici e psicologici in molti casi devastanti. Nel 2018 è inaccettabile. Ridateci le modelle con il fisico della mamma di Kaia. Donna, formosa, bellissima. Fatelo in fretta, perché i disturbi alimentari costruiscono la prima causa di morte per malattia tra le giovani italiane di età compresa tra i 12 e i 25 anni. Terribile vero? Ecco, allora diamoci tutti da fare. Perché quelle gambe e quei volti scavati fanno male al cuore, altroché mettere in evidenza la raffinatezza di un tessuto o di un taglio sartoriale. La moda è prima di tutto bellezza e armonia. Non dimentichiamolo mai.

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Io ti amo, tu no

E alla fine mi sono innamorata di te, che non solo non mi ami, ma neppure ti accorgi che cammino in questa terra. Che non mi vedi e non mi senti, mentre io ho solo te negli occhi e cerco ogni minimo segnale di te intorno a me. Mi basta così poco per provare un brivido, l’eco della tua voce, la tua sagoma da lontano, il tuo nome scritto nella rubrica del cellulare. Succede così spesso che perdiamo la testa per chi non ci vuole. Iniziamo all’asilo, quando ci piace il bambino che tira le trecce alla nostra amica e mai, mai, a noi. A scuola, quando riempiamo il diario di cuoricini per il tipetto adorato da tutte, che va con tutte, tranne che con noi. Da grandi, quando riusciamo sempre ad individuare con precisione matematica l’essere di sesso maschile, che ci farà soffrire con la sua totale indifferenza. Un po’ come, guardando una vetrina piena di scarpe con il tacco, impazziamo sempre per quelle troppo care e fuori budget. Proprio così. Il mondo è pieno zeppo di uomini, alti, bassi, ricci, lisci, giovani, vecchi, dalla pelle scura, dagli occhi a mandorla, insomma tantissimi. E noi attiriamo quelli che non ci garbano e rincorriamo quelli che ci schifano. Ma io voglio dire? Nel 2018 dotarci di un microchip che ci dia una scossa tipo teser se solo tentiamo di provare un sentimento di qualsiasi tipo per uno che ci fregherà per mesi, no? Non sarebbe un’idea? Già. Ma poi che scriveremmo sui nostri diari? Nei romanzi? E i film d’amore? Scomparsi. Non parliamo della poesia. Che l’amore più cantato è quello non corrisposto, quello travagliato, quello che ci fa incazzare insomma. E allora mi sa che dovrò rassegnarmi a guardarti da lontano e a sospirare, in attesa che arrivi qualcuno che mi prenda e mi porti via. E a quel punto ti accorgerai di me. Lo so. Perché l’amore è imprevedibile, non chiede permesso, stravolge i tempi, distribuisce gioie e dolori qua e là. L’amore è. Punto.

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Uomo che piange

Ti ha lasciato. Così. Dopo una vacanza al mare con tutta la famiglia, le grigliate in spiaggia la sera, le gite in gommone, i baci che sapevano di sale. Una vacanza come tante, serena, speciale, come quelle degli ultimi vent’anni. Poi il rientro e via tutti gli impegni, la scuola dei ragazzi, la ripresa del lavoro, le bollette, la lavatrice da cambiare perché non funziona più, le pizze del sabato sera. E, una mattina, a colazione, mentre ancora la casa taceva, lei ti ha detto “è finita”. Mi guardi e ti si riempiono gli occhi di lacrime. Non riesci ad andare avanti. Seduti su di una panchina, il via vai delle persone sul viale, due ragazzi che passano abbracciati con le cuffie in testa. Io, impotente. Sconcertata. Incapace di pensare e dire la parola giusta. Perché il dolore di un uomo che soffre per amore è straziante, quel dolore che sa di abbandono e che mette di fronte a tutte le nostre debolezze. E io non so cosa fare, perché ad una donna direi di andare avanti, di bucargli le gomme della macchina, che è uno stronzo, che avrà un’altra, che che che. A una donna saprei cosa dire, perché sento come lei, sono come lei. Ma ad un uomo. Un uomo con le tempie brizzolate, che ho conosciuto tanti anni fa, sempre sorridente, scanzonato, chiacchierone. Che adesso se ne sta lì, zitto, con i suoi occhi verdi pieni di lacrime e aspetta che io gli dica perché l’ha fatto. Perché ha distrutto i loro sogni di una vita insieme, l’idea delle serate sul divano a guardare la tv, i tanti viaggi pianificati per quando i ragazzi sarebbero cresciuti, le passeggiate sui monti e i tramonti al mare. Perché lo ha fatto? Non lo so. Noi donne siamo così. Tradiamo forse meno degli uomini ma quando prendiamo una sbandata buttiamo tutto all’aria, marito, famiglia, casa. Resettiamo il passato e ci tuffiamo nel nuovo reale. E a te brucia da matti tutto questo. Molto più del tradimento fisico, quello si può perdonare. Ma lei se ne è andata. Ha tradito l’idea di voi. E ti ha lasciato solo. Amico mio, non ho soluzioni, nè frasi magiche che ti facciano sorridere. Attraversa il dolore fino in fondo e non perdere la fiducia in ciò che sei, culla nel tuo cuore il ricordo ma preparati a vivere il domani. Perché l’amore è bellissimo. Ma nulla fa più male dell’amore.

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Essere diversa

Sai ho provato ad essere diversa. Sí, a fare la dura e a lasciarmi scivolare tutto addosso. A fregarmene di ciò che mi circonda e ad andare dritta verso la meta. In fondo, vedo tanti che ci riescono, che ti usano e poi si scordano, che mettono al centro se stessi e gli altri a corollario dei loro bisogni. E l’impressione è che abbiano pure successo, che scavalchino le difficoltà con nonchalance, mentre io affanno come in una maratona. Sai, ho passato ore davanti allo specchio a darmi coraggio. Ore prima di dormire a dirmi lascia stare, passa, vai oltre. Ore a convincermi che ci sono momenti che per me sono fondamentali e per chi li ha vissuti con me semplice routine. Questione di prospettiva. Ci ho provato, ma non riesco a trovare l’interruttore che mette fine ai pensieri, il reset che cancella le sensazioni, la passione, il brivido, l’adrenalina. Sai, in me le emozioni sono a lento rilascio, tanto più se sono state dirompenti. Non riesco a lasciarle scemare e se chiudo gli occhi le vivo tutte, di nuovo, sperando che siano ancora lí, ad aspettarmi. Ma non ci sono. E il loro sapore da dolce diventa amaro. Eppure quanto è bello coccolare i ricordi, inseguire i profumi, riverberare i sapori. Come in una continua Madeleine. Sai ci provo ad essere diversa. Ma alla fine mi sa che vado bene così.

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Selfie fatali

Morire per un selfie. Per uno, dieci, cento like. Per fotografare un’impresa, una bravata, una trasgressione. Succede troppo spesso e fa paura. Da adolescenti tutti abbiamo rischiato, osato per farci vedere dagli altri. Chi lo faceva più degli altri era ritenuto un leader, il capobanda, insomma il Figo del gruppo. Ora che i social hanno reso globale anche un’unghia incarnita, tutto questo è diventato ancora più diffuso. E soprattutto pericoloso. Perché se cammino sull’orlo di un precipizio e poi lo racconto al bar, rischio la vita; se cammino sull’orlo di un precipizio e intanto mi filmo o mi fotografo la rischio due volte e al bar forse poi neanche ci arrivo. Fa paura. Sì perché siamo tutti immersi in questa realtà virtuale, in questo The Truman show che ci pervade e i ragazzi ci imitano, non c’è niente da fare. Navighiamo, usiamo social, facciamo selfie anche mentre siamo sul water. Inutile dire ai nostri ragazzi di non usare il cellulare. Non regge. Insegnargli come però sì. Insegnargli soprattutto che la vita è reale e non un videogame. Che se sbagli paghi. Che fotografarsi mentre trasgredisci è stupido, oltre che pericoloso. Che le amicizie non sono quelle virtuali ma quelle con cui vai in giro in bici, con cui vai a scuola, che vedi, tocchi, con cui parli e ti confronti. Che la vita è già pericolosa senza cercarlo il pericolo, che ti fotte anche se non vuoi, per cui sprecarla per un selfie non ha senso. Nessuno. Fa paura. Perché abbiamo a che fare con adolescenti. Che non ci ascoltano, che si oppongono, che ci sfidano. Come abbiamo fatto noi con i nostri genitori, e i nostri genitori con i nostri nonni. E le disgrazie sono sempre accadute, purtroppo. Ma a quel punto è troppo tardi. Fatevi un selfie ragazzi. Anche più di uno. Mentre sorridete accanto alla vostra ragazza. Mentre siete con gli amici. Mentre vivete. Non quando state sfidando la morte. Quella purtroppo vince troppo spesso ed è meglio non fotografarla.

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Vi diranno

Vi diranno chi troppo vuole nulla stringe. Ma io vi dico desiderate a più non posso e lottate per ciò a cui aspirate.

Vi diranno che a una certa età i giochi sono fatti e che a 50 anni si è troppo vecchi per iniziare qualcosa di nuovo. Ma io vi dico che non esiste un’età per cominciare nè una per finire. Esiste solo la vostra volontà, la tenacia, la perseveranza.

Vi diranno lascia stare, quello non è alla tua portata. Ma io vi dico non c’è nulla di predefinito e che voi non possiate raggiungere. Dimostrate che, non solo è alla vostra portata, ma che potete anche di più.

Vi diranno cosa dovrete fare, come dovrete vestirvi, cosa dovrete pensare. Lo faranno senza che ve ne accorgiate, con la tv, internet, la pubblicità. Ma io vi dico pensate con la vostra testa e rifiutate le omologazioni. Siate la pecora nera, amate le imperfezioni, ricordate che è ciò che ci differenzia che ci rende unici.

Vi diranno di stare zitti. Ma io vi dico che può zittirvi solo la vostra coscienza.

Amate

Osate

Sorridete

Ogni giorno ❤️