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Voglio un amore

Nel 2019 voglio un amore che mi stravolga il cuore.

Che mi faccia alzare la mattina con la mia canzone preferita nella testa e canticchiare sotto la doccia anche se sono stonata.

Che mi accompagni con il pensiero mentre guido nel traffico e mi arrabbio con chi ha preso la patente con i punti del supermercato.

Che mi faccia arrossire durante una riunione, quando sbircio il telefono e leggo messaggi che solo noi possiamo capire.

Che mi faccia incazzare, perché non si ricorda anniversari, compleanni e dove si trova il sale nella dispensa, anche se è lí da vent’anni. Ma si ricorda di baciarmi ogni mattina e ogni sera, dando così un senso alle mie giornate.

Che mi lasci senza fiato ogni volta, con le sue carezze, con la sua forza attenta, con la sua passione in ciò che sono e in ciò che faccio.

Che mi faccia ridere, tanto, sempre; che abbia una propensione all’autoironia e che mi riporti sempre coi piedi per terra.

Voglio un amore che sopporti i miei scleri, i miei dubbi, le mie insicurezze e, come la fata di Cenerentola, sappia trasformarli in punti di forza.

Che ci sia, sempre. Anche se è lontano, anche se è incasinato. Che trovi sempre un minuto per regalarmi un pensiero.

Voglio un amore come tanti, che per me sia unico e irripetibile. Voglio quello perché, se lo avrò, tutto il resto sarà un dettaglio, tutto il resto troverà una soluzione.

Voglio un amore. In una parola, anzi due, voglio te ❤️

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Verso il 2019

Scattato il countdown di fine anno. Il primo a dare il via è stato Facebook con l’album dell’anno. Ci fosse una volta che Zuckerberg becca le foto dei momenti migliori, quelle in cui ti sentivi figa, quelle da ricordare. Mai. Anche quest’anno porta tra i ricordi momenti insignificanti, la foto della colazione, quella con le occhiaie da panda del wwf, quella con l’amica che ti ha poi fatto il peggiore dei dispetti. Arriva poi Instagram e il suo best nine, una carrellata di immagini tutte uguali, che dimostrano la tua fantasia zero nei selfie. Iniziano poi gli Amarcord di chi ha avuto un anno orrendo e di chi, invece, ha fatto i botti. Sui giornali, alla tv, in rete. E poi compaiono Paolo Fox, Astra e perfino una, che non so chi sia, che mi manda un messaggio in messenger e mi chiede se vuole che lei mi legga le carte. Anche no. Che, se devo essere sfigata, preferisco il gusto della sorpresa, se devo avere fortuna, lascia che arrivi inattesa. Resoconti? Che dire, è stato un anno tosto. Impegnativo. Come quello di tanti. Ricco di novità e di occasioni, ma anche di fregature. Un anno in cui ho messo a fuoco le mie priorità e, senza rimpianti, ho dato un calcio a zavorre che mi portavo dietro. Un anno pieno di amore, viaggi, parole, musica, natura. Un anno di soddisfazioni lavorative, di tante conoscenze importanti, di amicizie che si sono consolidate. Un anno in cui sono diventata consapevole. Della mia età, di ciò che posso dare agli altri, di quello che ho e di quanto sia prezioso.

Progetti? Mah. Forse per la prima volta nella mia vita, non ne voglio fare. Il progetto sono io, al centro, con la mia famiglia. Mano nella mano con il mio lui sul cammino di questa esistenza, che è ogni giorno una scoperta e una scommessa. Sperando che i sorrisi siano tanti e le lacrime la manifestazione di un’emozione.

#buon2019

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Conferme

Cerchiamo continue conferme a ciò che siamo e a ciò che facciamo. Guardiamo gli altri nella speranza di ricevere il loro assenso e legittimare così le nostre azioni. E ci dimentichiamo che il primo metro di giudizio dovremmo essere noi stessi. Guardiamoci dentro e impariamo a conoscerci. Non aspettiamo sempre che altri ci diano il benestare. Altrimenti vivremo per compiacere i loro desideri e non i nostri, agiremo per avere un plauso e non per soddisfare ciò che siamo realmente. Guardate i social: amplificano al massimo questa ricerca del consenso altrui come se i mi piace o i followers fossero segno tangibile del valore. Non credete a questo inganno: i likes vanno e vengono, dettati da mille ragioni esterne a ciò che siete davvero e a ciò che valete. Leggete. Studiate. Impegnatevi. Per voi stessi, per ciò che vi piace e non per ciò che vi farà (forse) piacere agli altri. Questa è la via del successo, questa la strada che vi regalerà tutto ciò che avreste voluto trovare sotto l’albero. La gioia di essere se stessi.

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Caro Gesù Bambino

Caro Gesù Bambino,

sei pronto a nascere? Sei proprio sicuro di volerlo fare? Sicuro sicuro sicuro?

Perché, vedi, questo mondo è un gran casino. Non si capisce più verso che cosa sta correndo. Chi decide. Chi fa. Quali sono i prossimi traguardi.

Ti guardi intorno e vedi gente che si scatta selfie sul water e persone in visibilio davanti alla foto di un piatto di insalata pubblicato da uno sconosciuto dall’altra parte del mondo.

L’economia? Bah. Mai capito nulla io, ora poi tra spread, manovre, retromarce, manovrine, cavilli, lasciamo stare.

La politica? Eh. Ai tuoi tempi c’erano i romani che vi rompevano le scatole ma almeno si capiva chi comandava e chi era comandato. Adesso sembra il gioco della sedia mancante: parte l’inno d’Italia e, allo stop, chi non ha la cadrega esce e bon. Poi c’è quello che bara e balla con la sedia sotto al sedere così è sempre pronto, ma si sa, siamo in Italia, il fugno è mestiere.

La natura? Oh Gesù Bambino, la nostra natura. Stiamo rovinando tutto e tra un po’ cresceranno le palme al polo nord e il tuo vicario Babbo Natale arriverà sui cammelli.

La cultura, le scienze, il sapere? Non pervenuti.

Ecco Gesù, sei sicuro di voler rischiare una broncopolmonite per venire al mondo in una grotta? A questo punto ti consiglio un hotel 5 stelle con tanto di storia su Instagram: Maria con la piega fresca anche dopo il travaglio, Giuseppe hipster con la barba lunga che ti filma, il bue e l’asinello della Thun con l’hastag advertising, i pastorelli tenuti a bada dalle forze dell’ordine, che da quando si è postato che saresti stato lí, sono accorsi da tutto il mondo; poi arriveranno gli ospiti dall’estero, i divi hollywoodiani, e ti porteranno nuovi superfood, l’ultimo iPhone e oro, che quello, si sa, non passa mai di moda (soprattutto in patacconi da polso e in catenone).

Insomma. Pensaci. Io spero che tu comunque decida di nascere ancora. Semplice e rasserenante. Pieno di speranza. Perché questo mondo bislacco ha più che mai bisogno di cose vere, tangibili, importanti. Quali? Un abbraccio, un bacio, una carezza, una mano tesa ad aiutare, una risata tra una chiacchiera e un’altra, una passeggiata nella natura. E poi tanta fiducia. Che domani sarà un giorno migliore. Perché lo sarà, vero Gesù Bambino?

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Una prigione chiamata cibo

Un pensiero speciale va in questi giorni a tutti coloro che soffrono di disturbi alimentari. In un periodo come questo, in cui la convivialitá è all’ordine del giorno, tra cene aziendali, pranzo di famiglia, aperitivi con gli amici, chi soffre di anoressia, bulimia, binge eating, vive uno stress particolare, fatto di sensi di colpa, di strategie per non trasgredire a quella voce che da dentro ti comanda, di sensazione continua di avere tutti gli occhi su di sè. Una prigione. Questo sono i disturbi alimentari. Sempre. In questi giorni ancor di più. Un marchio a fuoco che ti senti addosso e che vorresti da un lato cancellare, dall’altro palesare a tutti, per urlare “aiuto, non ce la faccio più”. Ecco. Un pensiero per voi. Perché sotto l’albero possiate trovare la forza di chiedere quel benedetto aiuto, di risalire la china, di allungare la mano verso chi potrà liberarvi da questa prigione. Dipende solo da voi. Vivere il Natale con gioia, pensando solo a regali, coccole, momenti con chi amate, senza che il computer calcolacalorie che ha invaso la vostra mente vi tormenti. La risalita è dura. Ma il panorama, una volta in cima, è davvero bellissimo. Buon Natale ❤️

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Auguri Brad

Brad Pitt. Oggi 55 anni. Da 25 il mio sogno. Da quando l’ho visto in Vento di Passioni. Lo so. Sono banale, scontata. Andare in visibilio per un attore è roba da sciacquette, da donne che vivono di gossip, non certo di una tutta d’un pezzo, in carriera, superiore a certi fremiti. E sia. A me Brad fa fremere un sacco. Che quando a 12 anni ho letto per la prima volta l’Iliade e mi sono appassionata per lo scontro fra Ettore e Achille, innamorandomi intellettualmente del kaloskagathos (=figo in greco) Achille, non potevo immaginare che sarebbe poi stato interpretato dal buon Brad. Segni del destino. E ora mi direte che come attore non è il massimo, che con le donne non ci saprà fare visto che le sue storie finiscono male, che non si lava, che che che. Niente da fare. Figo era, figo è. Per Lacolli il top. Sempre e comunque. Fateglielo sapere se ne avete la possibilità. Non si sa mai. 😜

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Grazie

Quasi Natale. Mentre cerco di star dietro a tutto il lavoro extra che devo svolgere per poter fare qualche giorno di ferie a capodanno (che, detto tra noi, anche sta cosa che per poter far le ferie devi lavorare a marce forzate prima e dopo, un giorno o l’altro dovrà pur finire), ecco mentre affondo nelle scartoffie, penso di dover ringraziare qualche persona. Sì, perchè “grazie” è una parola desueta, perchè si danno per scontati amici e parenti, si chiede senza un domani e ci si scorda di dare. Allora sarà il caso di mettere un po’ di grazie sotto l’alberello. Grazie a mio marito. Sì, lo so, sembra una captatio benevolentiae per farmi regalare la famosa Kelly di Hermès che non arriva mai (giuro che se vinco alla tombola della Ferragni me la compero), ma non lo è. Grazie per l’ironia, la pazienza, la freddezza di fronte alle mie esternazioni irrazionali, la dolcezza, l’amore, i calci nel sedere metaforici quando mi sono persa in seghe mentali che anche no. Senza il capitano, Lacolli sarebbe un essere vagante senza meta. Grazie ai miei figli. Originali, entusiasti, semplici, affettuosi. Adolescenti rompipalle che riempirei ogni giorno di baci se non mi facessero notare che non è il caso. Grazie ai miei genitori, per i valori che mi hanno trasmesso e perchè mi hanno permesso di diventare la donna che sono. Grazie alle mie amiche e ai miei amici, non faccio nomi, ma loro lo sanno chi sono e sanno quanto valgono per me, che sono più fragile di una libellula. Grazie al giornale su cui scrivo e alla televisione in cui lavoro, per la splendida occasione che ogni settimana mi danno di esprimere ciò che sono. Grazie a tutte le persone che ho conosciuto nei gruppi Facebook da palestrate e che sono diventate presenze costanti qui nella rete, grazie per il vostro affetto, per il vostro incoraggiamento, siete delle fighe bestiali e io vi devo tantissimo: Lacolli non molla niente e il 2019 ne combineremo delle belle. Grazie infine a questa vita, che mi ha dato, ormai quasi trent’anni fa, un secondo tempo, e che io ho intenzione di ripagare dando il massimo ogni giorno, sorridendo il più possibile, respirandola, assaporandola, benedicendola. Grazie.

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Giovani europei

Da madre spero che i miei figli abbiano la voglia e il coraggio di inseguire i loro sogni. Che sappiano tirarsi su le maniche e studiare, lavorare, credere in un progetto di vita, imparare a rialzarsi dopo una, due, dieci cadute, non arrendersi mai. Spero che i miei figli siano cittadini del mondo e sappiano apprezzare le differenze fra Stati, società, religioni, tradizioni. Che la loro mente sia aperta e curiosa, basata sui valori che fin da piccoli sto cercando di trasmettergli, valori semplici, il rispetto dell’altro, il senso civico, la disponibilità verso chi ha bisogno. Ecco perché la morte di Antonio Megalizzi mi ha colpito nel profondo. Non lo conoscevo, non l’ho mai ascoltato come giornalista, non avrei neanche il diritto di parlarne. Ho letto però la sua biografia, come tanti in questi giorni, e ho visto in lui quello che vorrei per i miei figli. L’ho visto nel suo sorriso. Quello di un uomo di 29 anni che con entusiasmo sta raccontando quell’Europa che tutti invece denigrano. E che non potrà più farlo. Per un proiettile che ha colpito lui come avrebbe potuto colpire qualunque altro dei passanti. Un colpo a caso. Una morte inspiegabile. Spero che i miei figli sorridano un giorno come lui, entusiasti come lui, intraprendenti come lui. In un mondo diverso però. Perché in questo, davvero, sognare sta diventando sempre più difficile.

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Letterina 2018

Caro Babbo Natale,

questa sera voglio parlarti di lui. Sì, lo so, è strano che non inizi la mia lettera con un “vorrei” seguito da una serie di richieste più o meno importanti per questo Natale. Ma quando mi sono seduta di fronte al foglio, con la penna in mano, il primo pensiero è stato lui. Perchè non c’è nulla al mondo che io desideri di più di chi amo. Voglio parlarti di lui non perchè sia speciale o abbia caratteristiche uniche. Non perchè sia talmente infatuata da non avere altro in testa. No. Voglio parlarti di lui perchè lui è la mia casa, il posto dove posso sempre essere me stessa, senza filtri. Sai quando torni a casa, ti spogli, metti ciabatte e pigiama, via trucco, via orologio, via tutto insomma? E poi ti siedi sul divano con una tisana calda e ti senti in pace con il mondo, nel tuo nido, al sicuro? Ecco. Quando sono con lui io sono così. Anche se non sono con lui, ma so che c’è. So che mi conosce la mattina appena sveglia, tutta accartocciata, il gambale del pigiama tirato su, i capelli arruffati, già chiacchierona, già rompiscatole. E la sera, quando mi addormento sul divano e lui mi chiama una, due, tre volte, vieni a letto, e io mi trascino in quel percorso divano-letto che è una delle prove più difficili della giornata. So che è con me quando sono triste per un’incomprensione, arrabbiata con il mondo per una delle mie battaglie contro i mulini a vento, delusa per un fallimento, felice per una vittoria inaspettata. Lui c’è. E, sai, Babbo Natale, noi discutiamo tanto. Da sempre. Perchè lui non molla e io ho la testa dura. Andiamo in profondità nelle situazioni, ci confrontiamo, urliamo, anzi io urlo più di lui, che a me piace fare tanto casino per nulla. Facciamo fuoco e fiamme e poi andiamo avanti. Nulla di sospeso, nulla di fraintendibile. Lui. Lui che mi ha tenuto la mano mentre mettevo al mondo i nostri figli, lui che mi ha abbracciato quando piangevo disperata, incapace di trovare un senso, lui che mi fa ridere tanto, tantissimo, con il suo umorismo sottile e intelligente. Ecco, Babbo Natale, stasera davanti all’albero ti ho raccontato il mio regalo, il più bello, insieme ai miei ragazzi, che la vita mi abbia mai fatto. E tu mi chiederai “Cosa ti posso portare allora per Natale?” Portami il suo sorriso e la sua gioia di stare con me. Tutto il resto, davvero, può attendere.

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Corinaldo

Sono mamma di due adolescenti. Due di quelli che ascoltano tanta musica, usano il cellulare per comunicare coi loro amici, parlano in uno slang che risulta non sempre comprensibile, iniziano a chiedere di uscire la sera. Insomma due come tanti, come ero io alla loro età, compresi brufoli, cotte, voglia di autoaffermazione. Per questo la tragedia di Corinaldo mi spaventa. Tanto. Perché hai voglia a dirgli di non bere e di stare lontani dalle droghe. Hai voglia a limitare le uscite il più possibile, discutere per gli orari, controllare le chat, cambiare organizzazione del lavoro per poterli seguire, osservare, cercare di carpire ogni segnale che possa essere problematico. Hai voglia impegnarti a dare loro il meglio, a fargli capire i valori, parlare, parlare e ancora parlare. Poi, in una notte d’inverno, dopo che ti hanno chiesto per mesi di andare a un concerto, hanno preso ottimi voti a scuola per meritarselo, hanno persino accettato che tu andassi con loro pur di ascoltare il loro rapper, e tu alla fine hai accettato, anche se il concerto è davvero tardi, anche se quel cantante non ti piace, anche se anche se. In fondo anche i tuoi genitori hanno fatto lo stesso con te. Ecco, in una notte così, succede un disastro. Per colpa di uno spray urticante sí. Ma soprattutto perché le regole in questo paese non sono rispettate. Perché siamo lo Stato dei furbi. Perché stipare ragazzi per guadagnare è una consuetudine. Perché la sicurezza viene vista come un obbligo da aggirare. Credo che tutti noi dobbiamo imparare a rispettare leggi e regole. Anche se non ci piace. Perché uno Stato si fonda su questo ed è imprescindibile per poter vivere bene. Non critichiamo solo, che in quello siamo bravissimi. Su le maniche e mettiamoci al lavoro per cambiare. Perchè si può e, soprattutto, si deve.