E niente. Il Covid si è imbruttito. Insensibile alle bellezze delle altre regioni, al mare cristallino, ai crudi di pesce serviti in spiaggia mentre il sole tramonta, il virus si é affezionato ai Navigli, alle zanzare, alla coda in tangenziale. Aggiungiamo anche all’ape di tendenza, all’outfit griffato, alla necessità di fatturare nonostante tutto. E noi Lombardi ce lo prendiamo in quel posto, noblesse oblige, scusate, ma, figa, quand’é che si toglie dalle balle? Che va bene Lombardia first, ma adesso ad essere i migliori in Italia ci siamo anche stufati. Anche se vi confesso una cosa. Nonostante noi Lombardi vinciamo nel 2020 la palma di regione sfigata dell’anno, battendo quest’anno la Liguria che negli ultimi periodi era stata indiscussa protagonista, nonostante in questo momento (e non solo in questo momento) vorrei essere a Favignana a mangiarmi un panino con il tonno appena scottato e i piedi a mollo a Cala Rossa, nonostante ne abbia due palle così, ecco nonostante tutto sono fiera di essere Lombarda al 100%. Bauscia, un po’ snob, con l’agenda sempre aperta, e chi più ne ha più ne metta. Perché noi Lombardi abbiamo dimostrato di essere un popolo composto, attento, poco incline alle tragicomedie, silenzioso nel dolore, rispettoso delle leggi. Si, va be, apertivi e movida ci sono stati, ma gran parte della popolazione si è infilata guanti e mascherina e zitta zitta ha fatto ciò che gli veniva imposto. Fiera di essere lombarda. Italiana certo, ma celticamente e orgogliosamente lombarda.
Sul balcone
Lunedì. Questa mattina mi sono svegliata molto presto, poco dopo le 5. Ho provato a girarmi dall’altra parte, ma non c’è stato nulla da fare. Allora mi sono alzata. Ho messo su il caffè, ho scaldato il latte e, con la mia tazza fumante in mano, mi sono seduta pavimento del balcone. Accanto a me, il cellulare, che mai come in questo periodo mi ha connesso con il mondo vicino e lontano e ha registrato la miriade di pensieri che mi facevano a tratti scoppiare la testa. Le piastrelle sono fredde e l’aria dell’alba è frizzantina, ma il cielo è così sereno che tutto passa in secondo piano. Silenzio tutt’intorno, ma non immobile. Sento le automobili in lontananza, la saracinesca di un garage che si apre, qualche voce sussurrata laggiù. Gli uccellini sulla magnolia cinguettano come sempre, ormai ho imparato ad ascoltarli, in questi mesi di silenzio irreale, in cui erano la sola voce a salutarmi al mattino. Ora non più. Ora siamo ripartiti. Sento le lacrime salirmi negli occhi, mi capita spesso in questi giorni, in cui la normalità si fa largo tra una restrizione e una mascherina. Lascio che scendano, tanto non mi vede nessuno. Ho scritto tanto di questa pandemia, anche se mi ero ripromessa di tacere il più possibile. Ma quando nasci chiacchierona, ogni promessa al silenzio è decisamente vana. La scrittura mi ha aiutato a
non affondare nella disperazione di certe giornate e mi ha tenuto in contatto con tutti voi. I social sono stati la mia finestra sul mondo e credo che per molti siano stati un’ancora di salvezza contro la solitudine. Adesso però ho bisogno di voltare pagina. Basta parlare del Coronavirus. Ora ho voglia di aria fresca. Come quella di questa mattina di fine maggio. Il virus mi ha insegnato che nulla è certo e che tutto può cambiare dalla sera alla mattina. L’ho scritto tante volte, ma mai come ora so che siamo come le foglie sugli alberi e che
basta davvero poco perché tutti i nostri progetti diventino vani. Il virus mi ha insegnato a dare il giusto peso alle persone e alle situazioni: ci sono valori, pochi, su cui fondare tutto. Il resto sono solo chiacchiere. Il virus mi ha mostrato la grande capacità di adattamento degli uomini e, se possibile, ha fatto sì che amassi ancora di più la natura umana e le sue infinite sfumature. Il virus ci ha messo tutti in ginocchio, ma io vado dicendo da una vita ogni volta che si cade, è necessario rialzarsi più determinati che mai: ecco, adesso è il momento di tirare fuori tutto ciò che abbiamdentro, senza risparmiarsi per il futuro. Il futuro. Il virus mi ha insegnato a pensare meno al futuro e a concentrarmi di più sul presente: la vita, come dice il mio guru, Forrest Gump, è una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita. Il virus mi ha insegnato questo e molto altro. Intanto, nel cortile di fronte, un bambino è uscito e ha iniziato a gire in bicicletta. E’ presto, ma lo fa tutti i giorni. Ho imparato a conoscerlo, anche se non so come si chiama, ma le sue risate e le sue urla sono state la musica di questi tre mesi. Quel cortile è stato per lui un universo in cui creare fantastiche avventure e io sono stata la spettatrice segreta delle sue conquiste. Prima di febbraio, non sapevo neanche che lì vivesse un bambino e ora sorrido ogni volta che lo vedo correre, mentre stendo la biancheria o mi alleno con i pesi sul balcone, sotto gli sguardi di commiserazione dei vicini. Questo balcone è stato il mio “fuori” e vi dirò che mi sembra il luogo più bello del mondo adesso. Anche se il panorama non è certo di quelli da cartolina e presto dovrò lasciarlo perché afa e zanzare lo renderanno invivibile. Eppure, anche lui è stato protagonista della mia quarantena. Ho preso il sole, ho lavorato, ho perfino stirato qui una mattina, tanto per darvi l’idea del grado di follia che io abbia raggiunto. Adesso è ora di rientrare. A breve i ragazzi si alzeranno e si metteranno al lavoro con le video lezioni per questi ultimi giorni di scuola di un anno da ricordare. O da dimenticare. Vedete voi. Io preferisco ricordare, perché ogni vissuto porta insegnamenti e io non voglio scordare le sensazioni di questo periodo, in cui mi sono attaccata alla vita e ad ogni sua piccola sfumatura. Spero che anche voi scegliate di fare lo stesso, perchè solo così saremo un Paese migliore. Non togliete la bandiera dell’Italia dalle finestre se mai, come ho fatto io, l’avete appesa lì ai tempi dei flash mob e degli inni cantati dai balconi. Tenete sempre vivo l’amore per la Patria che tanto avete osannato in questi mesi.
Rispettate sempre gli operatori sanitari che hanno sacrificato giorni e notti per salvare tante vite. Ricordate chi non c’è più e se ne è andato in silenzio. Con un occhio al passato, inserite la marcia e partite.
Lunedì. Cielo sereno. La strada è lunga ma noi abbiamo il pieno di benzina. Buon viaggio
Movida
Guardo le immagini della “movida” di ieri sera un po’ in tutta Italia e leggo i commenti negativi sui social, infarciti di insulti e di quella rabbia che la quarantena ha lasciato come regalo spiacevole in molte persone. Parole dure che leggerò anche questa sera, e domani, e dopodomani, perché oggi è una bella domenica di sole e molti andranno al mare, ci sarà traffico per le strade, gente in giro e tutti scatteranno fotografie ad hoc da postare sui social per far vedere quanto sono stupidi gli italiani. Che tristezza! Premetto che non sono d’accordo con chi non indossa la mascherina, non rispetta le distanze di sicurezza e si assembra in barba a ogni buon senso, ma li capisco. Soprattutto non me la sento di giudicare chi cerca di respirare un po’ di normalità. Chi non ce la fa più. Chi cerca di dimenticare i debiti, le difficoltà sul lavoro, il futuro incerto, brindando con un amico. Sbagliato in principio, ma terribilmente umano. Capisco chi ha paura del contagio e se ne sta rintanato in casa, ma capisco anche chi vuole provare a vivere. Soprattutto i più giovani. D’altra parte, era prevedibile, no? Nel momento in cui permetti alle persone di incontrarsi e di uscire, apri bar e ristoranti, decidi di affidarti al loro buon senso. Ci sarà chi lo userà e chi no, ma siamo cittadini liberi e non possiamo restare chiusi in eterno. La battaglia contro il virus è ancora lunga, ma dobbiamo combatterla vivendo. Nelle strade. Al lavoro. Nella quotidianità. Un mondo asettico è un mondo privo di vita, e non è il nostro mondo. Voi cosa volete fare? Stare chiusi nel vostro nido in attesa o provare a rinascere? Io non ho dubbi. Voglio ripartire. Non domani, adesso. Basta piangere, basta avere paura.
Buona domenica
Amici
Oggi sono emozionata. Ma tanto. Questa sera rivedo i miei amici del cuore. Una cenetta in giardino, all’aperto, solo noi quattro e i nostri figli. L’ultima volta è stato il 22 febbraio, esattamente prima della quarantena. Poi, il buio. Il cuore batte forte e non mi sembra vero di uscire al sabato sera. Non so come vestirmi, ho perso l’abitudine, mi truccherò pure e, sí, indosserò anche i miei tacchi. Ma soprattutto potrò chiacchierare con chi mi conosce bene, condividere tante emozioni, guardarli negli occhi, sentire il loro profumo, percepire le loro sensazioni. I social ci hanno aiutato a mantenere il contatto, ma vedersi di persona sarà tutta un’altra cosa. Non mi sembra ancora vero, ve lo confesso, e finché non saremo tutti intorno a un tavolo non ci crederò. Non potremo abbracciarci o baciarci, ma lo faremo attraverso le parole che ci scambieremo e gli sguardi che incroceremo. Questo virus ha minato profondamente la nostra società, ha eretto una barriera di diffidenza, ci ha costretti nelle nostre case, facendo vacillare il fondamento della nostra umanità, che è quella di essere animali sociali. Ecco, per me oggi è un giorno di rinascita vera, piena, totale. Accada quel che accada domani, poco importa. Mai come ora vivrò l’hic et nunc di una sera speciale. Perché non possiamo vivere pienamente senza amici: come scrive Cicerone, infatti, coloro che eliminano dalla vita l’amicizia, eliminano il sole dal mondo. E io, ora più che mai, voglio camminare nella luce ❤️
Voglia di stadio
Dieci anni fa, a quest’ora, ero con marito e figli al bar Garibaldi e ci preparavamo alla finale di Champions League. Inter – Bayern. Era l’anno del triplete e di Mourinho.
Della partita ricordo poco e niente, non sono mai stata una tifosa attenta, ma per me quello era un giorno speciale. Mio marito era rientrato il giorno prima dal Kosovo, in licenza, dopo tre mesi di lontananza. No, non era tornato apposta per vedere la partita al Garibaldi, era stata una casualità, ma questa gioia aveva amplificato tutto. Ho sempre patito la lontananza da lui e quel periodo era stato difficile. Tre mesi senza di lui, con i bambini piccoli, il lavoro, i casini del quotidiano. La distanza mette alla prova i rapporti, ma anche la troppa vicinanza. Ironicamente, dieci anni dopo, nello stesso periodo, ho sperimentato tre mesi di quarantena, convivenza forzata, con lui e con i ragazzi, in un clima teso, dove una scintilla può far divampare facilmente un incendio. Sapete che le richieste di separazione sono aumentate in tutto il mondo a seguito della pandemia? In fondo non mi sorprende. Per fortuna, noi abbiamo retto e oggi ne usciamo rafforzati, come dieci anni fa.
Eppure, non sottovalutiamo il peso psicologico della quarantena. Chi ha perso il lavoro, chi è sull’orlo del fallimento, chi ha visto franare il proprio rapporto di coppia, chi ha perso un genitore, un amico, un fratello. Siamo tutti stanchi e nervosi, mai come ora bisognosi di un supporto. Non solo economico. Spero che chi ci governa tenga conto anche di questo, perché la sensazione di vivere in una situazione pronta a detonare è davvero forte. Un clima teso, elettrico, pericoloso. Quanto vorrei tornare al 22 maggio 2010! Alla gioia di abbracciarci di fronte al maxischermo. Con le nostre birre in mano e i bambini che sventolavano le bandiere. In questo momento mi manca anche il calcio, di cui si parla solo per fare polemica, allenamenti sì, allenamenti no, campionato sì, campionato no. Ma che partita è senza il tifo, senza la calca sugli spalti, senza i cori e gli sfottò?
Ho una sete di normalità almeno quanto quella sera, euforica dopo la vittoria, di birra, spritz e chi più ne ha più ne metta. Voglio ubriacarmi di normalità, quando sarà possibile. Voglio andare allo stadio, al cinema, a vedere un concerto, a teatro. Di più. In questo momento, vorrei pogare da Pepe o ballare in discoteca. So che non si può. Ma desiderare, seppur azione molto contagiosa, credo sia concesso in questo momento. O no?
Tre mesi
Tre mesi dall’inizio di tutta questa storia. Il 21 febbraio molti di noi hanno guardato maps per vedere dove fosse Codogno, primo focolaio autoctono di Coronavirus in Italia. E con gli occhi hanno calcolato la distanza dal proprio luogo di residenza, per capire quanto fossero lontani o vicini dall’epicentro di questo terremoto. Nel mio caso vicino. Tre mesi di fiato sospeso. Tre mesi in cui abbiamo stravolto le nostre abitudini. Tre mesi di giorni uguali, che si confondono nella memoria. Sono passati. E questo è consolante. Le città sono tornate a riempirsi di esseri mascherati, le code in tangenziale sanno di normalità, anche se la normalità è ancora lontana. Ma abbiamo imparato ad adattarci ad una normalità sbilenca e ogni passo verso ciò che eravamo ci riempie di gioia. Tre mesi persi, questa è la sensazione più forte che sento, perché per una che spreme a fondo ogni giorno, questo periodo è stato una colossale perdita di tempo e di occasioni. La voglia di recuperare è tanta ma mi continuo a ripetere “con calma”, “con attenzione”. Non so voi, ma io sono stanca. Ho riposato tre mesi e sono sfinita. La pandemia è un tatuaggio che non scolorirà mai dentro di me, ma che imparerò a guardare per ricordarmi che nulla è certo e che l’uomo ha grandi capacità di adattamento. E che non voglio perdere tempo, mai mai, per ciò che dipende da me. La vita va vissuta, limitarsi ad esistere è uno spreco. Vivete. Rischiate. Ripartite.
Ripartenza
Quasi liberi. Non dobbiamo abbassare la guardia, ma oggi lasciateci respirare. Dietro le mascherine, a un metro di distanza, al di là dei plexiglass presenti in molti negozi. Con l’amuchina sulle mani e l’impossibilità di abbracciarci stretti. Con tutti questi limiti, lasciateci respirare. Sorridere. Passeggiare per città che non ci sono mai sembrate così belle, con i negozianti commossi e la voglia di ricominciare a vivere la normalità. Sarà lunga la risalita, una sfida per tutti, con alti e bassi, ma oggi voglio pensare che ce la faremo. E che, quando arriverà finalmente il momento di togliere le mascherine, sorrideremo, e canteremo, e ci baceremo. Non dimentichiamo ciò che abbiamo affrontato, ma non permettiamo alla paura di bloccarci in un’asettica solitudine. Incrociamo le dita, usiamo il cervello e speriamo che questo sia l’inizio della rinascita ❤️
Ci siamo quasi
Sabato abulico. Come il tempo. Meno male avevo un libro a farmi ottima compagnia. Ho una voglia matta di uscire a cena. Di farmi un aperitivo. Di vedere amici. Di farmi un sabato sera come si deve. Forse ci siamo quasi, ma finché non succede, non ci credo. Sono sospesa più che mai e ho paura che succeda qualche cosa che blocchi tutto, e che ci dicano “abbiamo scherzato, si torna alla quarantena”. Incrocio dita delle mani e dei piedi. Dai che ci siamo quasi. Dai che tra poco brinderemo. Dai che torneremo a respirare. Dopo tre mesi. E la libertà non ci sarà mai sembrata così bella ❤️
Effimeri
La sensazione che la vita non ti permetta mai di essere completamente serena, ma ti tenga sempre sulla corda, a ricordarti che sei solo un essere effimero.
Relatività
Oggi è stata una giornata difficile. Discussioni, incomprensioni, e pure uno spavento a fare da ciliegina sulla torta. Alla fine è arrivata sera e tutto si è ricomposto. Perché tutto passa, anche ciò che ci sembra insormontabile. Bisogna stringere i denti e guardare avanti. E soprattutto imparare a dare il giusto peso alle cose. Non so voi, ma io mi ritrovo spesso ad arrabbiarmi per inezie, che mi rovinano la giornata e mi fanno rodere il fegato. Grosso sbaglio, anche perché così mi si alza il cortisolo e la mia lotta contro la cellulite diviene stupidamente più difficile. Conclusione del non so più che giorno dall’inizio della pandemia, prendere tutto con più leggerezza. Lasciare scivolare via. Relativizzare. Adottare la strategia scimmietta, non vedo, non sento, non parlo. Che tanto non ne vale la pena. No no. Il Covid dovrebbe averci insegnato la relatività di ciò che siamo e facciamo. Ricordiamocelo. Sempre. Vivremo meglio e soffriremo meno. E direi che non è poco 😉