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Perché 

Perché ti amo mi chiedi? Non lo so perché. Potrei dirti perché sei bello, perché sei simpatico, perché sei gentile, perché perché perché. Ma non ti amo per tutto questo. Qualcosa d’altro che io non so spiegare. Un po’ come non so perché respiro, perché sento, annuso, gusto, vivo. E non essere deluso da questa risposta. Sorridi e baciami, che sì è per questo che ti amo….

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Sì viaggiare…

Sono una che viaggia leggera. Poche cose fondamentali, gli affetti tatuati nell’anima e le zavorre a casa. Che il bagaglio si fa durante il viaggio, sorrisi, esperienze, contatti, paesaggi. E ogni ritorno, che sia stata una gita di un giorno o il giro del mondo, ho sempre la sensazione di essere più bella, più ricca, più forte, più grande. E che il trolley della mia anima non riesca a contenere tutto. On the road tutta la vita….

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Fari spenti

Amare è andare a cento all’ora in una strada stretta di notte coi fari spenti. La possibilità di sbandare è così alta da diventare certezza. Quella di farsi male, tanto male, un rischio che invece di farci desistere ci infonde adrenalina. E noi partiamo, ogni volta, con il grillo parlante sulla spalla che ci ripete la stupidità del nostro gesto. E noi sappiamo che ha ragione, oh se ne ha, una cento mille. E consapevoli spingiamo sull’acceleratore, i finestrini abbassati, la musica a palla per non sentire le proteste del nostro cervello. E alla fine ci facciamo male. Tanto. Ma sopravviviamo. Per poterlo fare di nuovo. Per colorare di nuovo le nostre guance del rossore della passione e illuminare i nostri occhi, che vedono nel buio la luce dell’amore. Stupidi siamo. Incoscienti. Autolesionisti. Davanti allo specchio ci diciamo mai più ma è l’ennesima bugia, l’ennesima promessa che non sapremo mantenere. Se solo ricordassimo che il nostro cuoricino a sei settimane di gestazione è così forte e grande da emozionare chiunque lo ascolti, ed è lì grande grande rispetto all’esserino in cui sta crescendo, tum tum tum, capiremmo che abbiamo perso in partenza la battaglia. Cuore 1-cervello 0. A fari spenti nella notte….

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Necessità 

Fare male per fare bene. Necessario talvolta. Come la medicina amara che faceva passare la bua quando eravamo piccoli. Necessario soprattutto se si vuole bene. Molto bene. Senza nessuno zuccherino ad addolcirne il sapore. E nulla è più triste che causare una sofferenza incompresa per fare del bene. Soprattutto in una notte di temporale.

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Incontinenza

In tempo di esodo estivo si fa più evidente anche ai meno abituati a viaggiare una categoria diffusissima di maschio italiano. L’urinatore di strada. Macchina ferma in corsia di emergenza. Portiera aperta lato passeggero. Nessuna volontà di mimetizzare anche solo minimamente il gesto, anzi un certo compiacimento in questa azione liberatoria in mezzo alla natura. Anche se dietro sfrecciano auto camion moto van. Singola. Ma anche in compagnia, che si sa, chi non piscia in compagnia o è un ladro o è una spia. Anche se alle spalle ci sono veicoli fermi incolonnati e automobilisti incazzati per gli ennesimi lavori stradali in giorni da bollino rosso. La necessità non conosce freni. Che neanche fossimo in mezzo al deserto e l’area di servizio più vicina fosse a quattro ore. Sono fermamente convinta che ci sia un subdolo piacere nel gesto. Una sfida. Una liberazione. Una rivendicazione dell’essere maschio. Maschio italiano. Che poi il peggiore l’ho visto a bordo pista di sci, Dolomiti altoatesine, temperatura meno quindici. Che in quel caso rischi pure il congelamento della parte, il che potrebbe pure avere dei risvolti inaspettati in termini di rigidità…ma quello è un altro argomento….

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Acqua 

Amo la poesia della pioggia e il suono delle gocce sul tetto, il profumo d’erba e di bagnato che anima l’aria, il cielo dalle mille sfumature mentre l’acqua cade giù. La pioggia nel pineto insomma. Ciò premesso, il monsone di questa sera aveva ben poco di poetico. Seduta a tavola davanti al primo pasto decente della giornata, l’ho accolto con la totale indifferenza. Anzi, con un profetico “ma chi se ne importa se piove forte, noi siamo qui tranquilli nella nostra casetta, beviamoci un buon rosso e peccato per chi è fuori”. Che chi la fa la aspetti. Dopo la cenetta, infili i tuoi guantini gialli per non rovinare le unghiette smaltate, che come ti hanno insegnato le mani sono la carta di identità, e inizi a insaponare i piatti. Dopo un minuto il lavello inizia a gorgogliare. Sarà la pioggia. Il gorgoglio aumenta e la schiuma comincia a uscire dappertutto. Sembra un attacco alieno, in un momento ti vengono in mente i Visitors, i Gremlins, mentre l’acqua nel lavello sale. Sale e diventa nera. Insomma la fogna. I guantini volano via mentre con le pentole svuoti le due vasche e urli aiuto alla tua metà. Questa sera si gioca a passarci i secchi e a buttarli nel vater. Altroché smalto. Alla fine l’eau de perfum è insopportabile, altroché i fanghi, mentre asciughi l’acqua che ha allagato mezza cucina. Per non parlare di quello che ti resta addosso. Bella seratina. La magia del temporale. Che dite, magari un’altra volta eh?

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Otium

La bellezza di un tramonto in riva al mare. La dolcezza di un abbraccio che non ti aspetti. Il suono di una canzone che ti ricorda il primo bacio dietro una siepe. L’emozione di una poesia scritta duecento anni fa e che rimanda sempre palpiti nuovi. I colori di una storia sulla tela, storia narrata e storia vissuta da chi la dipinse. La forza di una scultura e la maestosità di una costruzione che sfida ogni logica, tranne la nostra. Le parole di una frase, le frasi di una pagina, le mille pagine che compongono il libro che ancora devo scrivere. Quanta bellezza abbiamo tra le mani, quanta letteratura, arte, fotografia, musica, cultura. La nostra cultura. Che oggi più che mai è un olio dolce che lenisce le ferite di un mondo che brucia. E allora chiamatemi struzzo, ma io questa sera la televisione la spengo e lascio che l’otium riempia la mia anima.

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Bocce

C’è uno sport che è Sestri nei ricordi di bambina. Non è nuoto, non tennis, non vela. No no. Sono le bocce. In riva al mare. Una sfida agguerrita per pochi adepti. E mio nonno era uno di quelli. Look da settimana della moda, savat, pantaloncini, magliette a righe e abbinamenti daltonici. Pose plastiche da discoboli e ogni tanto un’occhiataccia agli spettatori rumorosi. C’è quello che dà indicazioni a destra, butta, no no di qui. Quello che misura le distanze con professionalità. Quello che prende la rincorsa e quello che si fuma un sigaro. Stasera però il campione è lui. Non gli dai una lira perché parla poco. Pallido e con le scarpette di corda. Il parrucchino delle grandi occasioni tinta malva. Ma le sue bocce si avvicinano al boccino come le api al miele. Non ne sbaglia una. E alla fine ci scappa pure un applauso. E vai Franco vai!!

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Foglie

Abbracciate i vostri bambini e stringeteli forte forte. Baciate i vostri uomini e le vostre donne con passione e frequenza. Chiamate i vostri amici, bevete un caffè, aiutateli nel bisogno, siateci, sempre. Coccolate i vostri genitori, i vostri nonni, i vostri cari. Bandite l’egoismo e urlate i vostri sentimenti, chiaritevi e confrontatevi, siate critici, soprattutto con voi stessi. Regalate il tempo, sorridete anche nella tristezza, uscite, divertitevi, amate amate amate. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, scriveva Ungaretti. Nel frattempo stringiamoci ai rami con la forza del nostro amore e proviamo nel nostro piccolo a rendere migliori questi tempi in cui il cielo non è più così azzurro…

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Arcobaleno

Ieri ho visto tanti arcobaleni sui social, tante pentole dei desideri che spero qualcuno abbia trovato. Mentre ammiravo e non fotografavo quello in cielo, che anche io per una volta tanto vorrei ma non posto, ho pensato che era davvero bello. Come la mia vita. Che era fatta di sei colori e da quando c’è il mio lui è di sette, l’arcobaleno del cuore. Più tesoro di così…