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22

22 anni fa non c’erano whatsapp, messenger, facebook, instagram. 22 anni fa in realtà il cellulare era per pochi eletti e il web era appena nato. Ma a noi importava poco. Ci si telefonava alla sera con il telefono fisso, il mio era nella mia cameretta in soffitta, blu e verde della Swatch, di quelli con la tastiera in cui era possibile memorizzare i numeri. E il primo numero memorizzato era stato il tuo. Come poi da sempre. Il primo numero memorizzato in ogni cellulare o smartphone, il primo scritto sulle rubriche, il numero sulla prima pagina dell’agenda alla voce “persona da contattare in caso di necessità”. Eppure ci si telefonava poco. L’appuntamento era fisso al Monumento. Che per chi ha vissuto negli anni ’90 a Mortara sa che il monumento era IL punto d’incontro. Dove adesso al massimo sventolano le bandiere domenicali di qualche partito politico in cerca di consensi, ai tempi, tutti i giorni, introno alle sei ci si trovava a chiacchierare. Due o tre vasche, un po’ di battute, il Monu era questo. Ci si accordava per il sabato sera. Che poi c’era ben poco da accordarsi, il sabato era Fiore-Pepe. Il Charlie senza formaggio e ballare con il Dulj finchè ce n’era, jeans e maglietta che tanto si doveva pogare, tornavi a casa che puzzavi di fumo e sudore e spesso alle tre del mattino era la doccia l’unico bisogno che ti rimaneva da soddisfare. E noi eravamo lì, perché lì era nato tutto e costruivamo i primi sogni. Tra un esame e l’altro all’università, quanto studiare abbiamo fatto, tre anni di collegio e mai uscita una sera, la movida pavese io manco sapevo cosa fosse. Perché alla sera aspettavo la tua telefonata, che senza cellulare dovevi passare dal centralino, sempre occupato, eppure presto o tardi arrivava, che lì hai imparato ad aspettarmi e la pazienza è di sicuro sempre stata una delle tue maggiori doti accanto a una rompipalle come me. E mi hai aspettato anche nel mio folle viaggio in America, tre mesi di pura vita, tra gli yankee di Philadelphia, tra baseball football conventions grill e molto slang. Che l’unica persona con cui ho parlato in italiano sei stato tu, attraverso il cavo arrotolato di un telefono nel basement, tra scatoloni e vecchie biciclette, un colloquio ininterrotto anche attraverso l’oceano, perché l’amore è più forte di ogni sogno americano. Poi hai iniziato ad andare in giro tu, sissignore e a servire lo Stato si va lontano, e i contatti davvero labili. E arriva il momento dei cellulari, della tecnologia, ma ormai noi si vive insieme. L’epoca dei progetti, dei sogni, che continua ancora oggi, io dai voli troppo alti, tu con i piedi ben saldi, io in continuo fermento, tu pacato e concreto. Arrivano i bambini ed è un po’ come ritornare al periodo degli esami all’università, poche uscite poco sonno tante difficoltà. Eppure mai una volta che non mi sia mancato il tuo appoggio, mai una volta che non mi abbia preso accanto a te e non mi abbia con tenerezza baciato la testa, mai una volta che tu non mi abbia rispettato e coccolato. 22 anni sono passati. Non hai più i tuoi bellissimi capelli lunghi e io non ho più vent’anni. Eppure questa sera, se chiudo gli occhi, sono ancora lo scricciolo che hai accolto nella tua vita tra gli sgabelli di Pepe sulle note di Modern Love. Sì Picconi, sei stato decisamente la più grande botta di culo della mia vita…

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TV

Entro anche io nel tema del giorno. Altroché unioni civili. Sui social da qualche ora non si fa che parlare (male) dell’appuntamento serale su canale 5. Le sfumature approdano in tv. Tutto il pomeriggio che anche la radio martella con la pubblicità. Perfino la giornalista del tg5 ha azzardato un “vi lascio a un bel film”, che sa tanto di presa per i fondelli. Inizierà tra poco ma io so già che sarà una serata divertente. Come ogni volta che in TV c’è una roba melensa o un filmone alla “Vento di passioni” che piace tanto a noi donne. Divertente perché lo vedrò sul divano con mio marito. Che con il suo aplomb inglese, alla prima scena esordirà con un “ma almeno c’è qualche bella figa?” Fattore determinante nella sua sopportazione della storia. La Dakota non é il suo tipo ma, essendo sotto i trenta, potrebbe reggere. Dopo cinque minuti, essendosi ampiamente già rotto, ma per amore, mi illudo io, per pigrizia in realtà, non emigrerà nel letto a leggere, con uno sbuffo si alzerà a prendere qualcosa da sgranocchiare. Patatine, o roba così. L’importante è che abbiamo il sacchetto che ogni volta che infila la mano annulla ogni possibilità di sentire una qualche conversazione. Che, nel film di stasera, è già ridotta all’osso e di scarso livello, se me l’annulli magari é un bene, però sta di fatto che non sento un tubo a parte il tuo crunch crunch. All’improvviso mi stringerà una gamba e, guardandomi, esclamerà “che pathos, no no non riesco, come fai a mantenere il controllo di fronte a scene così profonde?!?” A quel punto, dopo un quarto d’ora, gli darò il telecomando e …fai quello che vuoi. E inizierà lo zapping selvaggio. Finché non si fermerà su quelle trasmissioni tipo Nudi e crudi, o la vita in Alaska, che invece danno soddisfazione te lo dico io. Inizieremo a sfotterci e a sparare cavolate. Che dopo una vita sai dove andare a colpire e lo fai volutamente. Sotto la copertona leopardata. Sempre più simili a Sandra e Raimondo, io a rompere le palle lui ad assentire con finta noncuranza. Che poi queste sono le sfumature che contano davvero…. 

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Sfumature

L’articolo che segue è destinato al solo pubblico adulto. Sì perché quando si parla di 50 sfumature di grigio meglio mettere le mani avanti. Ricordate il passaparola alla pubblicazione dei libri? Tutte nascoste dietro le pagine, in alcuni casi i primi letti dopo “I promessi sposi” della prima superiore, a fantasticare su quel gran figo di Christian Grey. Tanta roba. Poi il film. Lui espressivo come un bradipo, lei che non si sa come possa essere figlia di due bombe sexy come Don Jonson e Melanie Griffith. E l’erotismo, bah, nove settimane e mezzo 10 a zero. Ma magari non ho visto bene. E tra qualche giorno sarà in tv. Pop corn e divano e magari colgo qualche particolare che mi era sfuggito. Ma con una amica siamo andate oltre. Abbiamo voluto provare il gadget. Sì perché quella storia delle palline ci incuriosiva e allora vai online e le acquistiamo. O meglio lei le acquista e, nel loro sacchetto di raso grigio, me le fa recapitare in palestra. Roba che se qualcuno avesse aperto il sacchetto la mia già traballante reputazione sarebbe crollata del tutto. Non che mi interessi, ma almeno dopo averle provate insomma. Allora, le tiro fuori. Mi scappano di mano e meno male che non c’entrano il piede, in compenso mi scheggiano il parquet. Sì perché pesano un botto. Danno più l’idea della palla del carcerato che delle affascinanti sfere che Anastasia (Ana per Christian, che, voglio dire, io un po’ me la sarei presa di un simile soprannome, va bè) che Ana dicevo si porta appresso in taxi, al ristorante, con una tenuta pelvica da guinness. Ci sono pure le istruzioni. Leggo accuratamente e, nascosta in bagno, provo. Bah niente di che. Giro per casa, ma boh, sento niente, non è che si sono perse dentro? Rileggo le istruzioni che mi viene il dubbio di aver sbagliato qualche cosa. Dice di muoversi. Allora decido di andare a fare la spesa. Al Lidl. Prova per prova. Salgo in auto, guido, nessun problema. Caspita, che muscolatura tonica, sento un tubo, ma vabbè. Carrello, scaffali, uova, latte, pane, birre…ecco davanti alle birre, decidono che basta così. E cominciano ad uscire. E io sono lì, davanti alle bottiglie di birra, in mezzo a un corridoio, e mi aspetto il tonfo delle palle, delle Geishe Balls, da un minuto all’altro. Con nonchalanche, fingendo di leggere le etichette della birra, le sfilo e con gesto rapido e veloce le infilo in tasca. Mi raddrizzo e, girandomi, incrociò lo sguardo del tipo della security che mi guarda sospettoso. Ci manca che mi chieda di fargli vedere cosa ho appena infilato in tasca. Che magari nelle prossime settimane le vedremo tra le offerte del lidl, tra i tanti prodotti utili come la cesoia elettrica o il rasoio per i peli del naso. Per ora la scampo e arrivo a casa. Le butto nel cassetto della camera. Meglio lasciar stare. Lacolli non è Ana. Me ne farò una ragione. Doccia fornelli bimbi a tavola. E arriva lui. Il piccolo. Che i fatti suoi mai. Con in mano le palline. Cosa sono mamma? Come si usano? É un gioco? Come pesano!…E tu digli che sono solo sfumature….

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Infinito futuro

Spero promitto e iuro vogliono l’infinito futuro. Regoletta della sintassi latina che mi ronza in testa la mattina della Befana. Circuiti malati ma forse un motivo ci sarà. E proviamo a giocarci con sto infinito futuro, che sa di eternità. Spero. Spero di incontrare tante persone positive e che mi regalino emozioni, sogni, stimoli nuovi. Spero che alcuni desideri si avverino e se non accadrà spero comunque di non perdere la voglia di crearne di nuovi ogni giorno. Chi troppo vuole nulla stringe dice il proverbio, chi vuole poco e naviga piatto non vive, dice la colli.

Promitto. Prometto di regalare ogni giorno un sorriso, educazione, cortesia, sul lavoro, in casa, tra gli amici. Come ho fatto finora. Anche quando mi sento morire dentro e le mie ombre mi assalgono. Prometto di esserci per chi mi vuole bene, per chi mi fa sentire che c’è, per chi mi ricambia con la stessa moneta. Perché il tempo del dai 100 per ricevere, forse, 1 è passato, così come il buonismo incondizionato. In sintesi prometto di essere stronza q.b.

Iuro. Giuro di non giurare nulla, di non ipotecare il futuro così come il presente. I giuramenti hanno un che di arcano e primordiale e sono fatti per essere violati. Credetemi se volete, dico quello che penso e mi comporto come mi sento, mi vesto come mi piace e frequento le persone che mi fanno stare bene senza doppi fini. Sono qui come mi vedete. Se vi piaccio, regalatemi un sorriso, se vi lascio indifferenti non sforzatevi di essere carini con me, se non vi piaccio fatemelo capire al volo e continuiamo le nostre vite parallele. In fondo, é proprio nella varietà che risiede la bellezza di questa umanità.

E ora, tuffiamoci nell’infinito futuro di questo nuovo anno…

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Biancaneve

Biancaneve in tv, vecchio dvd nostalgico. Confesso di aver sempre avuto paura della regina, sta tizia tutta vestita di nero con gli zigomi alti e la bocca larga così. La stessa faccia di Crudelia Demon, ma quella mi ha sempre fatto sorridere, mentre la regina dello specchio mamma mia quante volte ha animato i miei incubi. Nani a parte, che poverini sono finiti nei giardini di mezz’Italia solo per aver dormito con Biancaneve, io però ho sempre sognato l’arrivo del principe. Perché va bene il bicipite, va bene l’uomo d’affari, va bene il macho italiano, ma a noi donne la poesia piace troppo. Quello che arriva sul cavallo bianco e il vestito inamidato, tralasciando che è un principe e poteva venire in Lamborghini, e che dopo il bacio che la risveglia poteva anche metterle al collo un brillante di Bulgari. Tralasciando la materialità di questa osservazione, che però approverete in coro già so, noi vogliamo la poesia. Vogliamo un uomo che ci svegli la mattina con un bacio e il profumo del caffè già pronto. Che ci mandi un messaggio a sera tardi solo per dirci di guadare in cielo quanto è bella la luna. Che ci telefoni perché fuori nevica ed è troppo bello per non condividerlo. Che ci sorprenda ogni giorno con le piccole attenzioni, perché nelle piccole cose si riflette un grande cuore. Che ci prepari la cena o il pranzo, non importa se è solo un’insalata scondita o una ricetta da chef, l’importante è che lui si sieda accanto e che accenda una candela tra di noi. Che ci faccia ridere, perché come ho letto da qualche parte ridere è una cosa seria e non puoi farlo con chiunque. Che ci faccia sentire Biancaneve risvegliata dal principe ogni attimo, con un bacio, una carezza, un abbraccio che vale più di mille parole. 

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Bilanci

2015, tentativo di un bilancio. Dare e avere mai in pareggio, nonostante le mille correzioni apportate durante l’anno. Lavoro, a fasi alterne. Ma di questi tempi non smorbiamo, e prendiamo il buono che c’è. Salute, in calo. Che a quaranta puoi sentirtene venti ma dopo una serata ne hai sessanta e le rughe della Montalcini. Amicizia, in pareggio. Perché a fronte di un andamento positivo per gran parte dell’anno, un investimento ha dato davvero risultati negativi e la delusione è al momento troppo cocente per una analisi lucida. Amore, sempre più in alto. Che qui invece ci sono investimenti che li senti positivi dall’inizio e non tradiscono mai. Fortuna, normale. Sfiga, normale. Come a dire che ci credo poco. E che la volontà rende molto di più di ferri di cavallo, cornetti, segni apotropaici. Un anno che ci sta dai. Che lo confermo e lo accendo. Copia incolla per il 2016. Con un pizzico di furbizia in più, un pelo di accondiscendenza in meno, e tanto sano egoismo a condire il tutto.

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Natale 2015

E il Natale 2015 è andato. Con gli occhiali luminosi della mamma e il cerchietto con il pacchetto regalo. Con la nonna che bara alla tombola e che con la scusa che non vede tenta di fare ambo terna quaterna in un sol colpo. Con le tremila portate e la promessa che la sera non ceneremo e poi ti alzi da tavola alle sette e vai a fare l’aperitivo. Con i bambini e il loro entusiasmo contagioso, il vero spirito del Natale con le lanterne lasciate volare piene di sogni nei cieli lomellini. Con i regali i baci e i messaggi, originali, copia incolla, poco importa, bello riceverne tanti con faccine sorridenti. Andato. Peccato. Perché a me il Natale piace davvero tanto….

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Natale 2015

Caro Babbo Natale,
pensavi di averla fatta franca e invece eccomi qui. Che non ho idea a che ora chiude l’ufficio protocollo della fabbrica degli gnomi, ma quello del mio comune chiude domani alle 13.45 e quindi penso di essere ancora in tempo. Tanto più che uso la rete, se vuoi ti faccio una pec e la risolviamo in un lampo. Dunque, mettiti comodo con un bel bicchiere di rosso davanti al tuo camino, accarezzati la barba e in relax leggi i desideri della colli. Perché non ti chiederò la pace nel mondo o la fine della crisi o uno psicologo per il divorzio Belen De Martino che sembra essere più tragico del nostro PIL. Questo evidente che lo desideriamo tutti, così come evidente che non si potrà avere. Quindi, segnati. La neve. Ne hai un sacco lì in Finlandia, dai. Ho già preparato sci e attacchi, tuta e gambe. Una spolverata per il cilma natalizio in pianura, una tonnellata per l’adrenalina sulle piste in montagna…. Un paio di decolteè marroni, tinta cuoio. Ho girato ovunque ma non le ho trovate. E ti assicuro che è davvero dura stare senza. Come te senza cappello con il pon pon. Una questione di immagine…I 40, di nuovo. Rewind per i prossimi 20 anni. Perché se lo spirito è quello che conta, il fisico comincia a perdere colpi e questo mi innervosisce assai. E io nervosa sono antipatica. E mi aumentano le rughe. E rendo impossibile la vita intorno a me. Quindi per la pace non dico nel mondo, ma nel mio mondo, provvedi con qualche elisir, grazie. Poi, alla spicciolata, perché nel dubbio io chiedo, un’auto nuova, che il Jimny non appartiene al mio DNA, un paio di tette, già chieste e richieste, almeno porta un buono sconto da presentare a Klinger, qualcuno che legga quello che scrivo, gli piaccia, e mi renda famosa come la Allende. Direi che può bastare. E che se non hai tempo e vuoi accontentare altri va bene lo stesso. Ti capisco. Sono una donna terribilmente fortunata, tanto da essere perfino invidiata, sentimento che non comprendo ma che mi lusinga. Magari però metti mi piace a lacolli. Che sai che botto lacolli piace a Babbo Natale?!?!?

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Abbandono

Perchè quando vieni abbandonata non ci sono santi che tengano. All’Inizio ci provi, a vedere se si può mettere una pezza, sfoderi inventiva, ingegno, ti improvvisi quella che non sei. Poi pian piano capisci che non si può fare, che battere il naso contro l’evidenza significa solo fartelo sanguinare e che tutto sommato il tuo nasino non è male, per cui teniamocelo buono. E allora reagisci. Davanti allo specchio ti autoconvinci che ce la potrai fare benissimo senza, che ci sono migliaia di donne che ne fanno a meno, che sarai il sesso debole ma ti ritieni donna con le palle. E adesso è il momento di mostrarle. E ti rimbocchi le maniche, spavalda. E passa una sera, due, tre e tutto sommato la situazione regge. Ti dici che non ne vuoi più sapere e che Natale è vicino. Ecco Natale. Avrebbe potuto lasciarti in un altro periodo dell’anno. No, a Natale. Quando più ne avevi bisogno, quando i mille impegni rendono tutto più difficile, quando si dovrebbe avere un animo leggero e tutte le cose che filano lisce. E va bè. E’ andata così. Ma ogni sera che passa, ogni pranzo, cena, colazione, ti senti più sconsolata. E allora invece della Go Pro, delle Loboutin, del vestitino sciccoso che hai visto in vetrina, chiedi a Babbo Natale che ti venga in soccorso. Che ti porti in regalo un degno sostituto. Perchè così non si fa. Perchè è proprio vero che è quando perdi qualcosa che ti rendi conto della sua importanza. Perchè per favore Babbo Natale o fai la magia e la aggiusti oppure mi porti una lavastoviglie nuova???

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Murphy

E per non so quale legge di Murphy l’unica volta in cui nell’ordine sei struccata, le occhiaie da Cattivissimo me, le mani da Cenerentola, la camicia con il segno della terra sul colletto, i jeans che stanno in piedi da soli e con il bottone slacciato perché dopocena lo slim fit diventa fat fit, senza tacchi anzi decisamente sottoterra, ecco così, in questa anormalità, ti chiamano sul palco. Di fronte a gente elegante come la prima della Scala, ingioiellati come Sant’Agata nella processione a Catania, piega contropiega cera e manicure. E ti chiedono di raccontare fatti storici e artistici. Di fare la maestrina insomma. E in quell’istante ti viene in mente la vecchia prof senza la tinta e i collant spessi bianchi, le ballerine a piano terra con il polpaccio importante. Donna intelligentissima e preparatissima, che non si perdeva nella futilità dell’immagine. E in un certo senso ti consoli. Sei più rispettabile così. Forse. Ti fai schifo ma sei rispettabile. Ti senti come la più derisa delle prof del liceo ma sei rispettabile. Ok, va bene. Da domani tacco 12 anche nelle ciabatte con tanto di peluches e al diavolo la rispettabilità….