Il taxi svoltò a sinistra e passò davanti alla Basilica di San Babila, sotto lo sguardo severo di un vigile, in piedi accanto alla Colonna del Leone. Entrando in Corso Venezia, l’autista fu costretto a rallentare nel traffico insolitamente caotico di quel pomeriggio di maggio. “Signora, cercherò di avvicinarmi il più possibile all’ingresso dei giardini, ma non sarà semplice in questa confusione” disse guardando nello specchietto retrovisore “L’inaugurazione del planetario è davvero così importante? E’ vero che ci sarà anche Mussolini?”. Elsa gli rispose con un sì distratto. Il suo sguardo era attratto dagli edifici che costeggiavano l’elegante via milanese, una volta chiamata “via delle carrozze”, su cui si affacciavano palazzi che denotavano il benessere di quel quartiere dell’alta borghesia. L’austerità rinascimentale di Casa Fontana Silvestri, le forme neoclassiche di Palazzo Serbelloni, l’architettura nuova e alla moda di Palazzo Castiglioni. Milano stava cambiando abito, anche se era ancora lontana dalla raffinatezza dei Boulevards di Parigi, la città in cui viveva da qualche anno e che le stava dando la possibilità di esprimere il suo talento, libera dalle imposizioni sociali che avevano tormentato la sua giovinezza. “Ecco. Mi fermerei qui, se per lei va bene”. Elsa pagò l’autista e aprì la portiera. L’aria tiepida le accarezzò il volto, in cui spiccavano i grandi occhi neri, volitivi, irrequieti, pronti a cogliere ogni dettaglio di quanto la circondava. Con passo deciso si avvicinò all’ingresso dei giardini di Porta Venezia, attirando, come sempre accadeva, l’attenzione dei presenti. I suoi abiti, pur denotando una fattura di altissima qualità e un’intensa ricercatezza dei particolari, mostravano elementi eccentrici, di rottura con i canoni della moda degli anni ‘30, caratterizzata da linearità e semplicità. Quel pomeriggio furono la grande spilla arancione a forma di insetto appuntata sulla giacca e il cappello con un vistoso pennacchio a suscitare i commenti delle signore della borghesia milanese. Elsa proseguì senza dare molto peso a tutto ciò e si ritrovò di fronte al colonnato che faceva da ingresso al Planetario, un palazzo neoclassico semplice, che sembrava immerso negli alti alberi del parco. Persa nei suoi pensieri, si accorse solo all’ultimo momento che le era venuto incontro Ulrico Hoepli, il grande editore che le aveva scritto per invitarla all’inaugurazione di quest’opera così innovativa: era stato lui a donarla alla città che lo aveva accolto tanti anni prima e che lo aveva reso uno delle personalità più stimate del suo tempo. Lo aveva conosciuto quando ancora era una ragazzina, visitando l’osservatorio di Brera di cui suo nonno, l’astronomo Giovanni Virgilio Schiaparelli, era direttore. Aveva accettato di lasciare Parigi e il suo atelier per qualche giorno in nome del profondo rispetto che nutriva per quest’uomo, anche se non amava la mondanità delle cerimonie ufficiali. Mussolini stava facendo in quel momento ingresso nel cortile: indossava l’uniforme della milizia ed era accompagnato da un deferente Marcello Visconti di Modrone, il podestà di Milano. Si fermò davanti a Hoepli, salutandolo velocemente, e baciò la mano ad Elsa, soffermandosi per un attimo a osservare il bracciale a forma di aspide che le risaliva il braccio. Poi entrò con passo deciso nell’edificio, seguito dalla folla degli invitati. Elsa diede il braccio all’anziano editore e insieme si prepararono ad assistere alla magia dell’immagine del cielo stellato e a sentirsi piccoli piccoli di fronte alla meraviglia del nostro universo.