Oggi ho passeggiato in una cartolina. O meglio, in un puzzle. Sapete quelli che vi regalano da 3000 pezzi con un panorama mozzafiato e voi trascorrete intere serate a cercare la sfumatura giusta, il verde scuro, l’azzurro del cielo, il bianco grigio delle nuvole? E il risultato è un luogo talmente bello da essere un non luogo, un po’ finto, un po’ fiabesco? Ecco. Lo Yosemite è una continua fotografia da puzzle. Come se fossimo tutti reporter del National Geographic. Gli abeti alti, altissimi, con questi fusti che non finiscono mai. Le montagne granitiche, dalle forme più disparate, imponenti, incredibili, che se non frequentassi le Dolomiti direi che sono sculture mia viste. Le cascate, lungo queste rocce, che ci siamo divertiti a scalare, fino a pozze gelide dove immergere mani e piedi o addirittura tuffarsi, che non si dovrebbe, direbbe la mamma e dovrei dire io ai miei figli, ma quando ti ricapita di pucciare i piedi nell’acqua delle cascate più alte d’America? Gli animali, tantissimi, dagli scoiattoli che si fanno accarezzare, ai coloratissimi uccelli, ai cervi che vedi saltare ai bordi della strada, fino agli orsi e ai puma, che non ho incontrato, e forse meglio così, ma un po’ ci ho sperato. Abbiamo camminato, scalato, inseguito le aquile a naso in su, ci siamo immersi nella natura per chilometri e chilometri in auto, abeti abeti abeti, meravigliati da questa natura che non smette mai di stupire. E che rilassa e rigenera. Come scrive John Miur, che a inizio ‘900 fu uno dei primi attivisti che spinsero a preservare lo Yosemite e la Sierra Nevada
“Lascia che la pace della natura entri in te come i raggi del sole penetrano le fronde degli alberi. Lascia che i venti ti soffino dentro la loro freschezza e che i temporali ti carichino della loro energia. Allora le tue preoccupazioni cadranno come foglie d’autunno”.