Ogni giorno ci ripetiamo che tutto andrà bene e postiamo video commoventi, che ringraziano sanitari e tutti coloro che ogni giorno lottano in prima linea contro il virus. Condividiamo campagne di raccolta fondi e ci stringiamo in applausi sul balcone, cantando l’Inno di Mameli. Siamo tutti fratelli e ci riscopriamo nazione. Almeno nei proclami, negli hashtag, nelle frasi ben costruite. Poi, però, i social sono pieni di violenza. Una violenza verbale senza contegno. Uno scagliarsi contro questo e quello, con foga, urlando dietro lo schermo del computer una rabbia senza fine. Altroché fratelli, cani rabbiosi che scattano all’attacco alla più piccola sollecitazione. Fa paura questa verbosità aggressiva. Provate a leggere un po’ di commenti sotto post che parlano di dati, vaccini, riaperture, cure: centinaia di idee, e ben vengano, ma quasi tutte espresse con un’acredine terribile. Stare confinati tra le quattro mura di casa ha determinato anche questo. Ha fatto uscire il peggio, altroché cambiarci in meglio. Un peggio confinato però ai social. Perché nessuno di quelli che urlano sulla tastiera farà poi nulla di concreto. Per quello ci vuole coraggio, convinzione, slancio vitale, preparazione. Per parlare, invece, no. Soprattutto se a proteggere vi è lo schermo di un pc e il calore della nostra casa: mi piacerebbe vederli seduti intorno a un tavolo tutti questi leoni da tastiera, mostrerebbero la stessa animosità oppure in silenzio si adatterebbero al potere dominante? Fatto sta che tutta questa violenza non è bella. Inquina gli animi, prima di tutto quelli di chi scrive. Abbruttisce il cuore e rende ancora più difficile la situazione. Bisognerebbe sempre ricordate che dietro ogni schermo c’è una persona reale, non un avatar, con il suo vissuto e le sue necessità, che le conversazioni virtuali hanno un peso e che un commento pesante può sedimentare e fare danni. Verba volant, scripta manent. Anche sui social.