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Un anno

Un anno. È passato un anno da quando il virus ha invaso le nostre vite. Un anno in cui ho cercato di mantenere vivo il mio ottimismo, di sorridere, di guardare al bicchiere mezzo pieno, senza farmi contagiare dal pessimismo serpeggiante ovunque. Però poi arrivano momenti in cui rivoglio la mia vita. Egoismo puro. Non lo dico a nessuno, perché mi vergogno di fronte al dolore di tante vittime e di tanti malati, ma la sera tardi penso a quante cose non faccio da tanto tempo. Non ricordo più l’ultima volta al cinema, a teatro 16 mesi fa. L’ultimo evento culturale che ho organizzato in presenza é stato un anno fa, e io ne mettevo in piedi due, tre al mese. L’ultima volta fuori a cena quattro mesi fa, idem per fuori dalla mia regione. Idem per la palestra, quattro mesi senza, e io sono una che ci va cinque volte alla settimana. Ho inforcato gli sci l’ultima volta 13 mesi fa, e mi mancano da morire. L’ultimo aereo è stato 14 mesi fa e l’ultimo shopping con aperitivo a Milano 17 mesi fa. L’ultima serata in un posto figo con musica 16 mesi fa. L’ultima volta che ho abbracciato qualcuno con serenità e senza un minimo di imbarazzo 12 mesi fa. E così via. Ho iniziato un nuovo romanzo, ma non va avanti. I personaggi si muovono nella mia testa con la mascherina e il gel per le mani: devo scrivere al passato, perché al presente non riesco a farli incontrare per caso, a farli vivere in un mondo normale, ecco. E io un libro con il virus non lo voglio scrivere. Non voglio essere come gli scrittori di guerra. No. E allora aspetto che passi. Provo sempre a sorridere. A fare tutto come se niente fosse. Ma poi arrivano le sere un po’ così. E i San Valentino, che chi se ne frega. Rivorrei la mia vita. Lo sussurro e nessuno si arrabbi perché sono egoista. Ma è così.

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