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Down

Disordinate e inutili riflessioni a margine del problema dei social di ieri pomeriggio. Breve riassunto per chi (tanti, tra chi mi segue, ho fatto un’indagine) non sa nemmeno di che cosa io stia parlando. E questa, lo capirete tra poco, è di per sè già una riflessione. Ieri, lunedì 4 ottobre, dalle 17.30 alla mezzanotte circa, ora italiana, Facebook, Instagram, Whatsapp e piattaforme collegate sono andate in down. Non funzionavano. Praticamente le app di Zuckenberg ci hanno salutato per sei, sette ore. E non solo in Italia, ma anche in Europa e nel resto del mondo. Un grosso problema per chi, con queste tecnologie, ci lavora, tanto che è stata calcolata una perdita di 160 milioni di dollari per ogni ora di down, un miliardo e rotti in totale per l’economia mondiale. Le conseguenze sono state le più diverse e vanno molto oltre quelle di tipo commerciale: molti utenti dotati di apparecchi intelligenti attivati attraverso connessioni Facebook si sono trovati all’improvviso a non poter aprire la porta di casa, accendere la tv, attivare un termostato, entrare in un sito di shopping online. L’aspetto più comico è che per alcune ore nemmeno il personale di Facebook è riuscito a entrare nei suoi uffici perché il «buco nero» che ha colpito il gruppo ha fatto svanire, insieme all’intera architettura di sistema, anche i meccanismi di sicurezza interna, compresi quelli di riconoscimento dei badge dei dipendenti. Fin qui la cronaca.
Ma noi? Che su Facebook leggiamo notizie, postiamo foto di aperitivi, cazzeggiamo scrollando come ebeti davanti al video? A noi che ci importa se sti social non funzionano? Apparentemente nulla. Eppure…
C’è chi s’è incazzato perchè, nonostante la spunta blu, lui o lei non si degnavano di dare risposta al messaggio whatsapp.
Chi si è sentito perso perchè non sapeva cosa fare sul treno, sul metro, in coda al supermercato. Li vedevi lì, con il dito sospeso, che non sapevano cosa fare, cosa cercare. Molti hanno optato per il meteo, ma dopo aver guardato le previsioni dall’Australia al Nepal, si sono stufati. Altri si sono riversati su Twitter, che era l’unico social attivo, e altrettanti hanno attivato Telegram, finora snobbato. Ovviamente Youtube, Youporn, You quello che vuoi, hanno registrato un’impennata di visualizzazioni.
Tutto pur di restare connessi.
Tutto pur di passare il dito sullo schermo.
Che senza il cellulare non riusciamo a stare. Per molti il cellulare è la prima visione del mattino e l’ultima della sera, la prima cosa che si prende quando si esce, il primo pensiero tra gli oggetti da avere con sè in caso di guerra, terremoto, tsunami. E tutto questo spaventa. Siamo dipendenti da un oggetto, che veicola messaggi, che influenza il nostro modo di pensare, parlare, essere. Molto di più di quello che dovrebbe.
E lo sappiamo, oh se lo sappiamo. Da tempo.
Siamo sicuri di essere nel pieno controllo della situazione, ma non è così. Fotografiamo viaggi ed esperienze per postarle, non per conservarle per il futuro. Ci vestiamo, trucchiamo, ci facciamo belli per farci vedere sui social, non per noi stessi. Scriviamo e commentiamo per qualcuno che ci leggerà, di cui non sappiamo nulla, e non pensiamo a condividere queste idee al telefono con un amico o, meglio, davanti ad un bel caffè ad un tavolino del bar. La pandemia ha moltiplicato tutto questo all’infinito.
E noi siamo sempre più schiavi.
Dico noi, perchè io stessa cosa sto facendo? Sto commentando questa situazione su di un social, che è di per sè contraddittorio e anche psichiatricamente valutabile. Ma se voglio lanciare un sassolino nello stagno, devo al momento usare la rete. Altrimenti non esisto.
Questa è la sensazione. Una sensazione che non mi piace.
Da tempo, lo sapete, provo fastidio non tanto per i social, che sono uno strumento interessante e dalle enormi possibilità, ma per l’uso che ne viene fatto.
Per la bassezza della cultura media che ne esce.
Per l’inutilità del 90% dei contenuti.
Per la mancanza di interesse verso quei post in cui si promuove cultura, in cui si stimola la riflessione senza gridare, accusare, inveire.
Perchè un culo viene commentato, condiviso, osannato e un bel post di approfondimento letto nemmeno dai 25 lettori di manzoniana memoria.
Ieri sera ho coltivato l’illusione che avremmo fatto a meno dei social per un po’ più di tempo. Ma stamattina tutto funzionava di nuovo. E non so se sia un bene o un male. Non lo so davvero. Intanto scrivo, posto, uozzappo perchè il lavoro lo richiede.
Ma se mi telefonate o mi spedite una bella cartolina o, meglio una lettera, ve ne sarò grata.
Che la rete degli abbracci è quella che amo davvero.

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