Lei è una donna forte, credo la più forte che io abbia mai conosciuto, fisicamente e caratterialmente. Uno scricciolo, minuta, semplice, eppure determinata. Una donna che vent’anni fa ha lasciato la sua casa, i suoi figli, la sua terra, l’Ucraina, per andare a lavorare in un Paese di cui non sapeva nulla e dove non conosceva nessuno. Non l’ha fatto per diventare ricca o avere successo, no. L’ha fatto per poter garantire ai suoi figli un’educazione scolastica, vestiti, una casa, un’auto. E poi, negli anni, aiutarli per costruirsi un futuro, sposarsi, avere dei figli a loro volta. Tutto per loro. Vent’anni a lavorare come badante, a lavare anziani, pulirli, curarli, affezionarsi a loro, piangerli quando se ne andavano, ricominciare da capo in un’altra casa, un altro anziano. Vent’anni non sono uno scherzo. Ma lei é forte. Torna a casa un mese all’anno e quando è là li aiuta nei campi, accudisce ai nipoti, fa il pieno di quell’affetto che per il resto del tempo corre sulla linea telefonica. Come lei, tante, tantissime altre donne. Ucraine. Forti. Orgogliose. Poi arriva il Covid, e la distanza diventa più dura da reggere, perché anche lei ha paura dì questo virus che sembra non dare scampo. In Ucraina, mi racconta, devi pagare tutte le cure, non come qui, che il sistema sanitario ti cura se stai male. Già, lei riesce sempre a farmi sentire fortunata dì essere nata in Italia, nonostante tutto. Lei è forte, e ai forti la vita riserva prove più dure. Un anno fa, a marzo, suo figlio si ammala di Covid e muore. A 38 anni. In una settimana se ne va e lei non fa in tempo ad arrivare per salutarlo. Però poi torna in Italia, perché la sua famiglia ha bisogno del suo lavoro. Torna con il cuore a pezzi, ma non si ferma. A sostenerla anche la fede, che gli ucraini sono il cuore dell’ ortodossia russa e hanno un credo fortissimo. In questo anno difficile, altri lutti la tormentano e lei vacilla. Comincia ad avere i suoi anni, ma, mi dice, tra un po’ prenderò pensione, così la darò a mia figlia. Capite, che forza? E lavora, lavora, lavora. Ma oggi l’ho vista piangere senza fine. Oggi, di fronte alle bombe e al suo popolo assediato, l’ho vista perdere le speranze. Perché lei ha fatto tutto per la sua famiglia, che è rimasta in Ucraina, perché orgogliosamente Ucraina. Perché è in quel Paese, il loro Paese, libero, indipendente, che vogliono vivere. Vogliono costruire, crescere, lavorare per quella terra che troppe volte i russi hanno depredato. Andate a vedere il film “Raccolto amaro”, che racconta dell’Ucraina invasa da Stalin negli anni ‘30 e capirete molto del rapporto tra russi e ucraini. Lei é forte, ma anche alla forza c’è un limite. E quelle bombe, ieri, oggi, l’hanno oltrepassato.