Un mazzo di fiori. Tutte le volte mi regala un mazzo di fuori. Con un biglietto su cui scrive “Scusa. Non lo farò più”. Li ho tenuti tutti i biglietti, li ho messi in una scatola di latta rossa, quella dei biscotti Krumiri. È la scatola dei non lo faccio più. Però poi lo fa ancora. Basta un nulla. Un asciugamano piegato male in bagno. Una camicia stirata non perfettamente. Una mia gonna troppo corta. Inizia a urlare. A volte arriva una telefonata oppure qualcuno citofona e finisce lí. Però spesso urla sempre più forte. Come se non riuscisse a fermarsi. Inizia a seguirmi per tutta la casa, in un crescendo di parole, insulti, accuse. Se parlo urla di più. Se sto zitta pure. È come se qualcosa si impadronisse di lui e all’improvviso esplodesse. E finisce sempre nello stesso modo. Che sia una sberla, un calcio, un pugno. Finisce che mi picchia. E poi inizia ad accarezzarmi, a baciare dove ha picchiato, fino a venire dentro di me e a sussurrarmi che mi ama e che non può stare senza di me. Una volta o due ho provato a negarmi, ma mi ha fatto così male che ora lo lascio fare. Perché poi si calma. Dorme. La mattina dopo mi prepara il caffè e dopo due ore arrivano i fiori. Con il biglietto. Dovrei denunciarlo. Lasciarlo. Ma ogni volta spero che sia l’ultima. Che questi fiori siano il nostro giardino per una vita migliore. Che il bimbo che sta crescendo dentro di me lo plachi una volta nato. Che possa tornare ad essere il mio ragazzo speciale, che mi aspettava fuori da scuola con il motorino e mi portava al mare. Con cui sognavo di fare lunghi viaggi e di camminare sempre mano nella mano. Lo spero e intanto sto zitta. Nascondo i segni delle botte. Sorrido sempre. I fiori che mi manda mi danno la nausea. Il loro profumo sa di sangue. Ma sto zitta. Forse spero che mi faccia tanto male da non potermi più nascondere. Perché mi vergogno. Mi vergogno ad accettare tutto questo. Mi vergogno a raccontarlo in giro. Mi vergogno di essere incapace di ribellarmi. Mi vergogno di amarlo. Perché lo amo e mi odio. Stringo sta scatola di Krumiri e vorrei aprirla e trovare solo i biscotti che mangiavo da bambina. Nessuno merita un amore così, nessuno. Lo dirò al bimbo nella mia pancia. Se è un maschio gli insegnerò a rispettare le donne, se è una femmina che l’amore non usa le mani, se non per accarezzare. Non si vive nella paura, si sopravvive. Non si respira nel terrore, si è in affanno. Ribellatevi. Aiutatevi e aiutatemi. Non accettate tutto questo. Fatelo voi e portatemi via da qui. A volte, la morte si sconta vivendo.
[…] via Fiori e botte — lacolli […]