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Sci

Se c’è una cosa che adoro fare è sciare. C’è nella discesa sulla neve un senso di libertà, forza e pace che trovo raramente in altre situazioni. Fin da piccola non mi fermano la nebbia, il freddo, la scarsa visibilità, mi basta agganciare gli scarponi agli attacchi per sentirmi viva. E poi ci sono i rifugi, la polenta, la torta ai frutti di bosco, la cioccolata, il bombardino, la stube e i caminetti. Si, tutto perfetto. Anzi no. Una cosina che che non va c’è. E purtroppo è inevitabile. Impellente direi. Il pit stop dello sciatore. O meglio della sciatrice. Perché arriva il momento che ti scappa. E già per noi donne è complicato nella normalità, sulle piste da sci diventa una prova di equilibrismo e ingegno che ci vede spesso sconfitte. Una premessa è necessaria, dal mio racconto vanno esonerate le toilette altoatesine, che sono più pulite e comode del bagno di casa, se non fosse per le sciatrici teutoniche che ci mettono in media dieci minuti in più a liberare il bagno. Ma si sa, loro sono precisi, fanno le cose per bene, e le cose fatte bene vanno fatte con calma. Mah. Località valdostana. Io e la mia dolce metà ci fermiamo in un rifugio. Bagno, a destra. Scendi le scale, come in tutti i rifugi sono in legno, bagnaticce e con una curva, che con gli scarponi e gli occhiali da sole appannati è già una prova. Uomini a sinistra, libero. Donne a destra, coda. Come sempre. Alcune delle amicizie migliori nascono in coda per la toilette, una volta sono riuscita a farmi dare anche la ricetta della pappa al pomodoro, con tanto di scambio di numeri di telefono. Finalmente entro. Loculo un metro per un metro. Freddo. Nessun appendino. Unici appoggi utili il contenitore per gli assorbenti e il contenitore della carta igienica. Nessun appoggio, dieci indumenti da togliere. Esperienza di anni ti hanno temprato. Guanti nello zaino, zaino appeso alla maniglia della porta, giacca vento sopra il contenitore della carta igienica, sperando che non cada sul pavimento che è bagnato di non sai cosa, sarà la neve sciolta, pile con cerniera tolto e tenuto con i denti, bretelle giù che tieni con una mano, mentre con l’altra ti sostieni nello squat delicatissimo facendo ben attenzione a non toccare la tazza. Si perché una delle prime cose che ci insegnano da piccole è mai, mai sedersi sulla tazza in un bagno pubblico. E oggi ti va bene. Più di una volta ti sei trovata davanti, anzi sopra alla turca, che non far cadere le bretelle e centrare nello stesso tempo il buco, beh lì si che è questione di esperienza. Poi lentamente ti rialzi, naturalmente non c’è la carta, ma tanto non riusciresti a prenderla perché è coperta dalla giaccavento. Ti rivesti, ovviamente ti scivola lo zaino, lo becchi al volo e in quel momento i guanti escono e cadono per terra. Amen. Finalmente esci, sali al bar, lui ti aspetta sorridente davanti a un bombardino, probabilmente il secondo dato il tempo che sei stata via, ti guarda e ti dice “mi stavo preoccupando, ci hai messo una vita…” E tu lo fissi, ha ragione, pensi, in fondo quando si tratta di un certo particolare anatomico loro riescono sempre a risolvere la questione più rapidamente e senza neanche spogliarsi più di tanto, basta tirare giù una cerniera, noi no, é più complicato, ci vuole più tempo, e a volte servono nove mesi.

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