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Presidente del Consiglio

Una donna presidente del Consiglio. Un passaggio epocale. Perché non importa in questa mia riflessione il partito politico che rappresenta, ma il fatto che sia una donna. Una madre. Una moglie. Come direbbe lei, riprendendo un proclama che è diventato anche un ritornello rap. Una che ha lavorato per portare avanti le sue idee in un mondo, quello politico italiano, di certo non femminista. Senza far leva sull’apparenza ma sempre puntando al concreto. Senza rinnegare la sua femminilità ma anche senza usarla come bandiera. È una donna, ma in fondo è un dettaglio. Perché ciò che conta, che deve contare, sono le competenze, non il sesso. E ieri, oggi, sono giorni di svolta, spero, per tutte le donne che sono pagate meno degli uomini, che faticano ad affermarsi, che non vengono sostenute nella maternità, che devono rinunciare alla loro femminilità per salire in alto. Ieri, elegantissima nel suo completo blu e tacco 12, è salita al Quirinale e ha portato con sè tutte noi. Daje Giorgia, avanti tutta!

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Occhi

Quegli occhi non me li dimenticherò mai. Puntati addosso per mezz’ora, senza dire una parola. Grandi. Chiari. Li odiavo quegli occhi, io, che per un paio di occhi verdi avevo fatto follie in riva al mare. Ma quelli no. Mi entravano dentro, e questo mi dava terribilmente fastidio. Penetravano la mia pelle sottile, le mie viscere vuote, la mia mente piena di pensieri. Più mi fissavano e più io serravo la bocca. Erano grandi come quelli dei bambini dipinti da Margaret Keane e altrettanto inquietanti. Me li sognavo di notte e li vedo ancora oggi, dopo una vita, nei giorni in cui mi perdo nei pensieri più ardui. Sarebbe bastata una parola e avrei vuotato il sacco. Avrei pianto, riso, raccontato, indagato, liberato tutta l’angoscia dei miei diciassette anni. Ma niente. Loro mi guardavano e basta. E io non amo chi mi guarda e tace. Sono una da “che cazzo guardi? Se hai qualche cosa da dire, fallo”. Ma allora non ne avevo ancora la forza. Allora ero un pulcino spelacchiato che doveva ancora conoscersi e gli occhi che mi fissavano erano una prova più grande di me. E io davanti a quegli occhi mi chiudevo, mi chiudo a riccio. Quanto tempo ho sprecato davanti a quegli occhi zitti! Non li ho più visti da allora, ma sono certa che, se dovesse capitare, li riconoscerei all’istante. Perchè sono quelli a cui penso quando devo trovare la forza per le mie battaglie, perchè allora ho giurato che non avrei mai più permesso a nessuno di guardarmi così senza fare nulla per aiutarmi, perchè ho giurato di amarmi alla follia e di provocare sempre reazioni verbali, che il silenzio uccide più di un veleno mortale. Ho promesso che non avrei considerato altro sguardo che il mio nello specchio, che quello sarebbe stato il mio unico giudice, che per quanto difficile, avrei sorvolato su chi si soffermava sul mio corpo, sul mio vestito, sul mio essere. A volte ci riesco, a volte no. Ma vale la pena provarci, sempre.

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Tacchi alti

Sono bionda e porto tacchi alti, altissimi. Mi annoio facilmente, non delle persone, ma delle esperienze. Odio la routine e ho bisogno di emozioni forti. Non sopporto le giornate vuote di stimoli e sono decisamente politically uncorrect. Faccio quasi sempre buon viso a cattivo gioco perchè sono una che preferisce disinnescare e conciliare, ma dentro sono un vulcano che borbotta di continuo. Ho periodi bui e momenti esaltanti, entrambi senza moderazione, anche se tendo a sparire nei momenti no e ad essere onnipresente in quelli sì. Trascorro le giornate prevalentemente in solitudine, ma non parlo da sola, tranquilli, preferisco ascoltare podcast, meglio se di Alessandro Barbero: la storia è il mio balsamo contro la difficoltà di un’esistenza che mi va sempre troppo stretta. Mi alleno ogni giorno per sublimare la mia irritazione verso le tante cose che non mi piacciono: alzo pesi per evitare la gastrite, insomma. Come vedete, sono una bionda taccata che si fa un sacco di seghe mentali e voi che mi seguite da tempo lo sapete. E forse mi seguite per questo. Forse. A proposito, perchè mi seguite?

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Filtri

E’ un gran casino. Fuori, voglio dire. Non so a voi, ma a me questo mondo non piace. E non parlo delle guerre, delle pandemie, del caro bollette, della crisi. Per queste cose, ahimè, possiamo fare poco noi comuni mortali impegnati a lavorare per restare a galla. Parlo del mondo intorno a noi, quello fatto dalle relazioni umane, dalla quotidianità. Quello che oggi sembra fondarsi esclusivamente sull’apparenza. Una vita fondati sui filtri di istagram. Mettiamo filtri ai sentimenti e alle passioni. Alla nostra vita. Ai nostri progetti. Interessa maggiormente ciò che pensano gli altri, di ciò che pensiamo noi. Preferiamo filmare un evento per poi mostrarlo agli altri, che goderlo pienamente con i nostri occhi. Crediamo al mondo che vediamo sui nostri schermi e abbiamo perso la voglia di guardarci intorno. E i sogni? Che fine hanno fatto i sogni? Si fa tutto per un guadagno materiale. Che i soldi non fanno schifo a nessuno, ma se togli la passione nella vita, cosa ti resta? Cosa ti anima? Cosa ti spinge? E’ un orizzonte piccolo quello che vedo in molti atteggiamenti, proprio ora che abbiamo il mondo in mano. E non mi piace. Che il mio è senza fine e lo sarà per sempre.

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Piove

Piove. Autunno. Finalmente. E non perché ami la stagione fredda più dell’assoluta estate. No. Solo da un po’ ho l’autunno dentro e questo stonava con la bellezza del cielo blu. Oggi perlomeno sono pendant. Grigio dentro, grigio fuori. Succede, talvolta. Striscia lentamente dentro di te e ti trascina pian piano giù. Il più delle volte passa come un temporale estivo, talvolta invece la perturbazione dura mesi. A sto giro, ho ben chiare le cause, un paio di delusioni di troppo, più pesanti di quello che apparivano a prima vista, la menopausa alle porte, la stanchezza di rialzarsi ogni volta. Che mi rialzo anche a sto giro, lo sto già facendo, ma che fatica. Che fatica sorridere al mondo. Che fatica fingere che sia sempre tutto ok. Che fatica sminuire l’amarezza per quel progetto naufragato dopo anni di lavoro. Che fatica dire nessun problema. Che fatica. E poi accade anche che trascuri gli amici, che quando sei così ti stai sul cazzo e l’ultima cosa che vorresti è scaricare sugli altri le tue menate. No. Io sono quella che aiuta, consola, incita. Allora mi chiudo nel mio studio, tra i miei libri, nel mio nido, e aspetto di ripartire. Intanto fuori piove. E io non ho nessuna voglia di usare l’ombrello.

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Goccia dopo goccia

Se volete qualche cosa, alzatevi e andatevelo a prendere. Non aspettate che il mondo cambi, ma siate voi il cambiamento. Non sono frasi tratte da qualche corso motivazionale, no. Sono il frutto di cadute e delusioni, di scoramenti e di pugni contro il muro. Perchè le sconfitte saranno forse sempre superiori alle vittorie, ma sono quelle, oh sì, proprio quelle che ci rendono migliori. Il dolore indurisce, purchè lo si sappia attraversare e ci si faccia schiacciare. Aprite gli occhi e non mentite mai, soprattutto a voi stessi. E lottate per ciò che desiderate. Sognate in grande senza arrendervi mai. Prendetevi delle pause per ricaricare le energie, ma fate in modo che non siano delle scuse per restare immobili. E non fondate tutto sul guadagno, sul do ut des. Iniziate a lavorare per ciò che volete e tutto arriverà, a suo tempo. Ci vuole pazienza nella vita, anche se tutti vi promettono tutto subito. Il tutto subito non esiste. Esiste la goccia che scava la roccia e fa cadere la montagna. Siate la goccia, ogni giorno, senza mollare mai.

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In us we trust

Un nuovo anniversario. Un nuovo 11 settembre. Ma il ricordo di quei momenti, di quei giorni di dolore è sempre lo stesso. Fumo, grida, sirene, panico. A New York e in tutto il mondo. Era l’inizio di un nuovo millennio e da quell’attentato, che nemmeno i film avevano immaginato, avremmo dovuto capire che tutto può davvero succedere. I vent’anni che sono seguiti, tra pandemie, guerre, eventi meteo pazzeschi continuano a ricordarcelo. L’ultimo brandello del Novecento era forse la Regina, e ora non c’è più. Un nuovo mondo che noi, solo noi, abbiamo il dovere di rendere migliore. Ognuno nel suo piccolo, ogni giorno. Perché la vita ha un valore immenso e capita una sola volta. Sulle ceneri delle torri gemelle è stato costruito il One World, splendido, maestoso, iconico. Sulle ceneri di questo mondo che sembra andare a rotoli, iniziamo a costruire, senza polemiche, senza lamentarsi di continuo, con coraggio, forza, fiducia. In memoria dell’11 settembre, in us we trust!

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The Queen

Della Regina Elisabetta sappiamo tanto, tantissimo. Personaggio mediatico suo malgrado, di lei abbiamo immagini, filmati, discorsi più che di ogni altro monarca passato o contemporaneo. Icona pop, amata anche da chi non ama la monarchia, sulla sua eredità scriveranno in molti, come già hanno fatto durante la sua lunga vita. Aldilà delle celebrazioni, credo che Elisabetta sia da tenere come esempio per alcuni aspetti che riguardano la vita di tutti noi, comuni mortali. Primo, la coerenza. Devota alla corona fino alla fine, ha speso una vita al servizio del suo Paese e del suo ruolo. Senza mai rinnegare se stessa. E io credo che in un mondo di trasformismo opportunista, questa sia una dote di grande valore. Secondo, la riservatezza. Sappiamo tutto di lei, ma in fondo non sappiamo nulla. Solo quello che ha voluto farci sapere, centellinato per giunta. In questa era in cui condividiamo anche quante volte andiamo in bagno per un like in più e per un attimo di popolarità, lei è esempio lampante che la grandezza emerge a prescindere dai social. Anzi. Terzo, lo stile. Mai sopra le righe, neppure in gioventù, perfetta nella sua divisa, sorridente anche nella bufera. Ecco, poi ci sarebbero molti altri aspetti da ricordare, ma, come dicevo, lasciamolo fare agli esperti, che, ne sono sicura, sapranno valutare i settant’anni di regno con la giusta competenza. A me piace ricordarla per queste tre doti, coerenza, riservatezza, stile. E far mie le parole da lei pronunciate nel 2002: “Ogni giorno è un nuovo inizio, so che l’unico modo per vivere la mia vita è cercare di fare ciò che è giusto, guardare a lungo, dare il meglio di me in tutto ciò che la giornata porta e mettere la mia fiducia in Dio”.

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Conciliazione

Sono da sempre affascinata dai nomi delle vie. Nel senso, che mi ritrovo spesso a chiedermi chi siano le persone ricordate su quelle targhe, oppure cosa significhi quel termine che leggo sulla targa di una strada in cui mi trovo a passare, in Italia o nel mondo. Fateci caso. Il più delle volte si tratta di nomi assolutamente ignoti, oppure dei soliti Garibaldi, Cavour, Roma, che di per sè ovviamente non attirano più la mia curiosità. E badate che non si tratta di un esercizio noioso, ma solo della curiosità di una che non si ferma mai alle apparenze. Se avessimo il tempo e la voglia di indagare, quelle vie nascondono il più delle volte storie bellissime di persone normali che, durante la loro esistenza, nelle epoche più disparate, hanno compiuto imprese eccezionali. Oppure vicende così particolari da poter essere il canovaccio per un libro. Molte strade sono diventate il simbolo di tutta un’epoca, pensate che so ad Abbey Road, Wall Street o la più triste Via d’Amelio: tutte hanno una storia, tutte sono una testimonianza del passato. La mia preferita è però via della Conciliazione. Non tanto perchè sia un luogo incantevole che porta alla basilica di San Pietro, luogo che mi dà sempre i brividi, ma per il nome stesso. Conciliazione. Che vi devo dire, mi piace. Suona bene, accarezza il palato e la mente, rasserena il cuore, induce a sperare. Sì perchè in un mondo in cui va di moda la resilienza, atteggiamento tutto sommato passivo di adattamento allo status quo, a me piacerebbe che facesse tendenza la conciliazione. Che non per nulla ha in sè quella preposizione con, che sottintende una unione, o per lo meno la volontà di arrivare ad un punto di incontro. In un mondo in cui lo scontro, fisico e verbale, sembra essere il solo argomento che fa notizia, in cui tutti sono sempre incazzati e pronti a prevaricare l’altro come strumento di affermazione di se stessi, a me piace la conciliazione. Meno testosteronica, ma infinitamente più utile. Meno popolare, perchè fraintesa come remissione, ma più sottile, intelligente, potente. Io riempirei l’Italia di vie della conciliazione, a ricordarci che da soli non si va da nessuna parte, come la storia ci ha dimostrato migliaia di volte. Intanto continuo a soffermarmi sui toponimi. Vi va di farmi compagnia?

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Vademecum

Nel marasma della ripresa settembrina, tra le tante disgrazie di questi anni complicati, il caro gas ed energia occupa un posto di rilievo in tutti i tiggì. E vorrei ben vedere. Le bollette sono aumentate da tempo e il bello deve ancora venire. Per cui, al titolo “gli interventi del governo”, alzo il volume e ascolto con attenzione. In realtà, parte la solita sfilza di consigli che personalmente mi innervosiscono sempre un po’, perchè sembrano mettere in dubbio il buon senso di chi ascolta. Un po’ come d’estate, per combattere il caldo, si raccomanda di bere tanto, non uscire nelle ore più calde e mangiare leggero. Eh bravo, se non me lo avessi detto non ci avrei pensato. Idem adesso. O forse sono io che sono strana. Perchè, non so voi, ma io da una vita spengo la luce se non sono più in una stanza, faccio andare a pieno carico lavatrice e lavastoviglie, tengo il riscaldamento ad una temperatura consona e piuttosto indosso una felpina più calda. Così come sotto la doccia chiudo il getto quando mi insapono e stiro in prevalenza nel fine settimana. E l’asciugatrice? Più di una volta ho visto occhi increduli guardarmi quando dicevo di stendere i panni ad asciugare sul balcone. Stendi i panni? Non usi l’asciugatrice? Ma così ci metti una vita e non asciugano più. Sì che la uso. Abito in condominio, ho tre uomini in casa, lavo quanto una lavanderia industriale, ci mancherebbe. Ma solo quando non posso fare altrimenti, perchè il profumo dei panni stesi ad asciugare al sole è tutta un’altra cosa, perchè stendere non mi pesa e in fondo è attività fisica, perchè così i pigiami non diventano di due taglie in meno e il bagno un forno. E io non sono una pasionaria dell’ambiente, sono solo una che per abitudine odia gli sprechi. I consigli del tiggì sono normalità e forse sarebbe il caso di controllare maggiormente le temperature nei grandi magazzini per esempio, che d’estate hai bisogno del piumino per il freddo e d’inverno del costume per il caldo. Che poi, se ho le mani impegnate con sciarpe, giubbotti, cuffia che mi sono tolta per non sciogliermi, come faccio a comperare qualche cosa? E’ anticommerciale, dai. Comunque, se tutto sto casino serve a ricordarci di non sprecare energia, inquinando di meno, alla fine non è male. Della serie, proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno. Non di vodka, però. Che ultimamente mi è un po’ indigesta.